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Dizionario medico

Le seguenti definizioni sono state tratte dal dizionario medico del sito http://ok.corriere.it/dizionario/enc6500.shtml

A

Adiuvante

Terapia a base di farmaci chemioterapici (o, in alcuni casi, di ormoni, di farmaci biologici, come i cosiddetti vaccini anticancro, o di sedute di radioterapia), che si prescrive al malato dopo che il suo cancro è stato completamente asportato chirurgicamente e purché non vi sia, agli esami di controllo, alcuna traccia residua di malattia. Lo scopo è quello di ridurre le ricadute dovute alle eventuali cellule maligne rimaste in circolo, non rilevabili dai test disponibili. “Ogni malato di cancro al quale si asporta il tumore primario, e che non ha metastasi, ha comunque un certo rischio di riammalarsi negli anni successivi. Questo rischio dipende dalle caratteristiche del tumore stesso, dall’età del paziente ma anche da fattori difficilmente prevedibili come la quantità di cellule tumorali eventualmente rimaste in circolo. Se si fa una terapia adiuvante con un farmaco chemioterapico in grado di uccidere queste cellule, oppure si irradia con la radioterapia l’area che è stata operata per raggiungere il medesimo risultato, si riduce ovviamente il rischio che una di queste cellule dia origine a un tumore secondario» (Francesco Perrone, responsabile dell’Unità di Sperimentazioni cliniche dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli).

Ascite

Presenza di versamento liquido nel peritoneo. Le cause più comuni sono la cirrosi, specie quella di origine alcolica, l’epatite cronica in fase attiva, le gravi epatiti alcoliche, anche in assenza di cirrosi, e l’ostruzione delle vene epatiche. Altre cause sono: lo scompenso congestizio, la sindrome nefrosica, l’ipoalbuminemia grave, la pericardite costrittiva, neoplasie, la peritonite tubercolare, l’ipotiroidismo, la pancreatite, l’insufficienza renale. La sintomatologia è caratterizzata da senso di peso e tensione addominale e, se il versamento è imponente, da difficoltà di respiro. Nei casi avanzati, l’addome è teso e la cicatrice ombelicale è estroflessa. I mezzi più semplici per fare la diagnosi sono la percussione dell’addome e l’ecotomografia. Il riposo a letto e la dieta povera di sodio (iposodica) sono i capisaldi della terapia: il medico può prescrivere diuretici e paracentesi evacuative.

Asintomatico

Che non presenta sintomi (dato soggettivo) né segni (dato oggettivo).

Autoesame

Sorveglianza sul proprio corpo: sono autoesami la periodica autopalpazione del seno, dei testicoli , l’autoesame della cute che portano a consultare prontamente il medico in caso di modificazioni o alterazioni sospette.

Autopalpazione

Esame delle mammelle che la donna può eseguire da sola, eventualmente istruita dal medico, ogni mese al settimo giorno del ciclo mestruale. Il giorno può anche essere diverso dal settimo, ma è bene che sia sempre lo stesso del ciclo per poter comparare situazioni ormonali simili. L’illustrazione mostra come procedere. 
Oggi, in base ai risultati di un'importante ricerca, si ritiene che questo tipo di autoesame del seno, assai poco praticato, rivesta un ruolo di secondaria importanza nella prevenzione del tumore mammario e incida scarsamente sulla precocità della diagnosi e sulla possibilità di intervenire tempestivamente e in modo efficace. Più spesso le donne si accorgono casualmente di avere qualche problema al seno mentre svolgono normali attività quotidiane (lavarsi, guardarsi allo specchio, insaponarsi mentre si fa il bagno o la doccia); avere cura del proprio corpo in modo semplice e naturale, senza ritualizzare eccessivamente il momento dell'autoesame, può così diventare un gesto abituale in grado di ridurre l'ansia e la paura.

 

B

Basalioma

Sinonimo di epitelioma basocellulare.

Biopsia

Prelievo di tessuto vitale da sottoporre a esame istologico per scopo diagnostico. Viene eseguita con tecniche e modalità diverse. La biopsìa incisionale consiste nel prelievo di un frammento limitato del tessuto patologico: nel caso di formazioni superficiali (riguardanti, per esempio, la tiroide, la mammella, i linfonodi) viene effettuata mediante aghi speciali (tecnica detta agobiopsia), da cui si ricavano piccoli frustoli di tessuto corrispondenti al diametro interno dell’ago. L’agobiopsia può essere effettuata su visceri (fegato, pancreas, rene, prostata) sotto la guida degli ultrasuoni (biopsìa ecoguidata) o mediante TAC. Nel caso di organi esplorabili mediante endoscopia (stomaco, colon, bronchi) il prelievo viene eseguito con apposite pinze collegate all’endoscopio; frammenti di tessuto possono essere prelevati anche nel corso di esplorazione endoscopica della cavità addominale (laparoscopia) o toracica (mediastinoscopia). La biopsìa incisionale “a cielo aperto” è quella che viene praticata durante l’intervento chirurgico. La biopsìa escissionale comporta la rimozione totale del tessuto patologico con adeguato tessuto sano circostante allo scopo di determinare i limiti della lesione e pianificare l’intervento terapeutico più adatto: tipico è il caso dei tumori della mammella.

Bioptico (esame, prelievo)

Prelievo di un liquido, un materiale o un tessuto per una biopsia. L'esame bioptico viene eseguito soltanto nei casi in cui l'esame clinico, l'ecografia e i parametri ematochimici danno il sospetto di malattia tumorale.
Prelievi bioptici al seno: attraverso il mammotome, uno strumento che garantisce una diagnosi istologica certa, con gli stessi risultati, in termini di affidabilità, di una biopsia chirurgica.
La biopsia prostatica è l'unico esame che consente con certezza di porre diagnosi definitiva di neoplasia.

BRCA1 e 2

Si tratta di geni che, quando mutati, sono associati con un aumentato rischio di cancro carcinoma mammario od ovarico familiari. Il gene BRCA1 risulta essere implicato in una serie di funzioni cellulari di primaria importanza, come la riparazione del DNA, la regolazione della trascrizione, il controllo del ciclo cellulare; viceversa non è ancora evidente il meccanismo attraverso il quale la sua inattivazione può causare la trasformazione della cellula sana in cellula neoplastica. Mentre nei tumori sporadici si può osservare solo una ridotta espressione del gene normale, in quelli familiari è presente una mutazione germinale del BRCA1; per i soggetti portatori di questo tipo di mutazione il rischio di sviluppare un carcinoma mammario nell’arco della vita è compreso tra il 50 e l’85%; per il carcinoma ovarico il rischio è del 15-60%. La frequenza delle mutazioni in BRCA1 nella popolazione generale è stimata in 1 su 500-1000 individui, quella relativa al gene BRCA2 è sconosciuta.
I soggetti portatori di uno di questi geni hanno un alto rischio nel corso della loro vita di sviluppare un cancro della mammella. Per quanto riguarda altri tipi di tumori, una mutazione in BRCA1 e più raramente in BRCA2, può aumentare anche il rischio per il cancro dell’ovaio.

Brachiterapia

Brachiterapia prostatica permanente (BT) è una forma di radioterapia che consente di trattare il carcinoma prostatico localizzato, con una dose di radiazioni estremamente elevate, senza danneggiare le strutture adiacenti alla ghiandola. E' una procedura minimamente invasiva, che si completa in una unica seduta operatoria di circa 90 minuti, e consente di ottenere percentuali di cura estremamente elevate, sovrapponibili a quelle dell'intervento chirurgico e superiori a quelle conseguite con la radioterapia convenzionale a fasci esterni.

 

C

Carcinoma

Tumore maligno di origine epiteliale, comunemente detto cancro. Può derivare da qualunque tessuto epiteliale, sia esso di rivestimento (mucose, pelle) o ghiandolare. Dagli epiteli di rivestimento di tipo malpighiano (epidermide) mucose della bocca, della faringe, dell’esofago, della vagina) prendono origine l’epitelioma spinocellulare (o epitelioma squamoso), costituito da cellule simili a quelle dello strato spinoso dell’epidermide normale, e l’epitelioma basocellulare, o basalioma, tipico della cute, formato da cellule simili a quelle dello strato basale. Gli epiteliomi spinocellulari possono anche derivare da altri tipi di epitelio di rivestimento, in seguito a fenomeni di metaplasia (per esempio, nel polmone). I tumori epiteliali maligni delle ghiandole vengono meglio definiti come adenocarcinomi: a seconda del grado di differenziazione ricordano più o meno nella struttura la ghiandola di origine (adenocarcinoma bronchiale, del colon, della mammella). Il carcinoma embrionale, in genere molto maligno, deriva dalle cellule germinali o da un teratoma generalmente avente sede nelle gonadi (ovaio, ma soprattutto testicolo). Con la locuzione carcinoma in situ si definisce un carcinoma ancora confinato nell’epitelio di rivestimento o ghiandolare, che quindi non ha ancora invaso gli strati sottostanti.

Cavo orale

Cavità della bocca, completamente rivestita da mucosa; è delimitata anteriormente dalle labbra, lateralmente dalle guance, posteriormente dall'istmo delle fauci, in alto dalla volta palatina e in basso dal pavimento, costituito da un piano muscolare su cui appoggia la lingua.

Cellula

Unità fondamentale della materia vivente dotata di capacità riproduttiva e di organizzazione autonoma dal punto di vista sia morfologico sia funzionale (vedi anche la cellula).

Chemioterapia (o antitumorale)

Complesso delle terapie farmacologiche, e delle tecniche impiegate nella loro somministrazione, utilizzate nella cura dei tumori. La terapia con farmaci antineoplastici ha lo scopo di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali nell’intero organismo, ma soprattutto a livello delle localizzazioni secondarie, cioè delle metastasi.

Chemioterapia oncologica (o antitumorale)

Complesso delle terapie farmacologiche, e delle tecniche impiegate nella loro somministrazione, utilizzate nella cura dei tumori. La terapia con farmaci antineoplastici ha lo scopo di arrestare la proliferazione delle cellule tumorali nell’intero organismo, ma soprattutto a livello delle localizzazioni secondarie, cioè delle metastasi.Gli effetti collaterali I farmaci antitumorali (o antiblastici) possono avere diversi punti d’attacco nella cellula: in genere si distinguono diverse classi di farmaci come gli antimetaboliti (5-fluoruracile), gli alchilanti (ciclofosfamide), antibiotici (adriamicina), sostanze varie (cisplatino), ma in ultima analisi il bersaglio dei farmaci è costituito dal DNA delle cellule tumorali. I farmaci attualmente in uso non consentono però di esercitare un’azione specificamente diretta contro le cellule tumorali: colpiscono genericamente tutte le popolazioni cellulari in fase di attiva replicazione, quindi anche le cellule sane (seppure in misura minore rispetto a quelle neoplastiche) e nella fattispecie quelle di tessuti ad alto ritmo proliferativo, come il midollo osseo, la mucosa orale e gastrointestinale, il bulbo pilifero, l’ovaio e il testicolo. La chemioterapìa oncològica sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà il rischio di effetti collaterali, rappresentati da: diminuzione dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine (prodotti dal midollo osseo); irritazioni della mucosa della bocca e del palato; nausea, vomito, diarrea (per l’effetto sull’apparato digerente); irregolarità mestruali; caduta dei capelli per l’azione sui bulbi piliferi. Allo scopo di minimizzare per quanto è possibile questi inconvenienti, sono state messe a punto particolari strategie di somministrazione della terapia. In primo luogo la chemioterapìa oncològica viene effettuata in modo intermittente, secondo schemi che prevedono cicli curativi della durata di alcuni giorni, alternati a intervalli di riposo fino a 3-4 settimane: in tal modo si consente alle popolazioni cellulari normali, inevitabilmente colpite dal trattamento, di riprendersi tra un ciclo e l’altro a scapito delle cellule tumorali, generalmente più lente a recuperare il danno subito. Per ridurre ulteriormente gli effetti secondari della terapia si ricorre all’associazione di più farmaci antitumorali (polichemioterapia), aumentando l’azione globale grazie a differenti meccanismi d’azione, e diminuendo nel contempo la tossicità. Applicazioni della chemioterapia oncologica.
Con schemi di questo tipo è possibile a tutt’oggi curare molti tumori, tra cui le leucemie dei bambini, i linfomi di Hodgkin e alcuni linfomi non-Hodgkin, il tumore renale di Wilms e i tumori del testicolo. Risultati inferiori ma degni di nota sono raggiungibili nel carcinoma della mammella, in quello dell’ovaio e nel tumore polmonare a piccole cellule (microcitoma). In alcuni casi la chemioterapìa oncològica viene utilizzata a scopo precauzionale (chemioterapìa oncològica adiuvante) dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore, allo scopo di eradicare eventuali metastasi microscopiche già disseminate all’atto dell’operazione. Questo tipo di strategia ha fornito finora buoni risultati nel carcinoma della mammella, del testicolo e forse del colon-retto, quando le “spie” della diffusione a distanza, cioè i linfonodi regionali (ascellari nel caso della mammella, viscerali negli altri), risultano invasi dal tumore. La chemioterapìa oncològica adiuvante viene utilizzata anche in molti tumori dell’infanzia (tumore renale di Wilms, sarcomi dei muscoli e delle ossa, medulloblastoma). Negli ultimi anni è stato proposto di utilizzare la chemioterapìa oncològica addirittura prima della chirurgia; in questo caso la chemioterapìa oncològica, detta neoadiuvante, ha lo scopo di ridurre la massa tumorale al fine di renderla più facilmente asportabile con interventi chirurgici complessivamente meno mutilanti. Oggi viene impiegata nella cura dell’osteosarcoma, di alcuni carcinomi della mammella, del cavo orale, dell’esofago, dell’ano e della vescica.
Tecniche particolari di somministrazione. Considerevole interesse riscuote la possibilità di far pervenire il farmaco direttamente nella regione anatomica colpita, potendo così aumentare il dosaggio a vantaggio dell’efficacia, ma con riduzione globale della tossicità su tutto l’organismo. La cosiddetta chemioterapìa oncològica regionale intrarteriosa trova applicazione soprattutto nel trattamento delle metastasi epatiche (perlopiù da tumori del colon-retto) e dei carcinomi della testa e del collo, data la possibilità d’incannulare con relativa facilità le arterie tributarie di questi distretti (cioè l’arteria epatica e la carotide esterna). La somministrazione di farmaci nel cavo pleurico, pericardico, ma soprattutto in quello peritoneale permette di aggredire le localizzazioni neoplastiche direttamente in queste sedi. La chemioterapìa oncològica intracavitaria è stata utilizzata particolarmente nella terapia della carcinosi peritoneale, conseguente alla diffusione di tumori ovarici o carcinomi del colon-retto.Efficacia e limiti. Nell’insieme, la fattibilità e il successo della chemioterapìa oncològica sono legati a fattori dipendenti sia dal paziente (l’età, le condizioni generali di salute, cioè il cosiddetto performance status), sia dal tumore (caratteristiche biologiche del grado di risposta alla chemioterapìa oncològica, estensione della massa tumorale totale): soprattutto in quest’ultimo caso assume notevole importanza il fenomeno della resistenza ai farmaci antitumorali, evento che purtroppo si verifica quasi costantemente durante lo svolgimento della chemioterapìa oncològica. Per mutazioni spontanee, all’interno della popolazione di cellule tumorali (analogamente a quanto avviene coi batteri) si sviluppano cloni (cioè cellule derivate dalla divisione di un’unica cellula, e tutte dotate dello stesso patrimonio genetico della cellula madre) in grado di resistere ai farmaci antitumorali grazie a meccanismi biochimici di varia natura. Il vantaggio selettivo acquisito favorisce la proliferazione del clone resistente, che ben presto s’impone su tutta la popolazione rendendola insensibile alla terapia: la neoplasia può così inarrestabilmente progredire. In alcuni casi le cellule neoplastiche sono addirittura in grado di sintetizzare una proteina della membrana cellulare che le rende resistenti a più farmaci contemporaneamente. Finora non sono state individuate sostanze capaci di bloccare l’insorgenza del fenomeno. La strategia terapeutica più valida consiste nella somministrazione della chemioterapìa oncològica il più precocemente possibile (quando la massa tumorale sia tanto piccola da non ospitare troppe cellule già resistenti) e rispettando il più possibile tempi e schemi di somministrazione (la cosiddetta intensità di dose) in modo da non disperdere l’efficacia terapeutica.

Cheratosi

Alterazione cutanea caratterizzata da ispessimento dello strato corneo dell’epidermide e localizzata specialmente sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi; se il fenomeno è accentuato si parla di ipercheratosi. La cheratosi può essere circoscritta (callo) o diffusa; congenita (ittiosi) o acquisita, conseguente a malattie cutanee (psoriasi, eczema). La cheratosi può interessare anche le mucose, che si presentano ispessite e biancastre. La cheratosi attinica (o solare, senile) insorge soprattutto in anziani, ma può manifestarsi anche in soggetti più giovani che si espongono sistematicamente alle radiazioni solari (agricoltori, marinai). Si manifesta nelle zone scoperte (volto e arti superiori) con chiazze rotondeggianti, cheratosiche, dalla superficie secca, aderenti, di colorito grigiastro, a volte circondate da un alone eritematoso. Se la componente cheratosica è notevole si può avere la formazione di uno strato corneo cutaneo. L’evoluzione è lenta e la terapia si basa sull’asportazione chirurgica. La cheratosi pilare si manifesta nell’infanzia ed è caratterizzata da piccole rilevatezze dure in corrispondenza degli orifizi dei follicoli pilosebacei. La cute è di aspetto normale, anche se arida. La dermatosi si localizza alle superfici estensorie delle cosce e delle braccia: la palpazione di tali zone produce una caratteristica sensazione di raspa. Oltre alla terapia medica, la dermatosi trova giovamento nei bagni di mare e nell’elioterapia.

Contraccettivi (o anticoncezionali)

Farmaci, metodi o dispositivi utilizzati dall’uomo, dalla donna o da entrambi per prevenire il concepimento durante il coito. Il contraccettivo ideale deve soddisfare i requisiti di sicurezza, innocuità, reversibilità e accettabilità. Nella nostra società il ricorso ai contraccettivi permette l’autodeterminazione responsabile del concepimento da parte della donna o della coppia. La scelta del tipo di contraccettivi implica un controllo attivo della propria fecondità. La ricerca in campo contraccettivo maschile è molto meno avanzata che in quello femminile: non si è ancora riusciti a inibire la spermatogenesi senza compromettere la potenza sessuale. La cosiddetta “pillola del giorno dopo” non è da considerare un contraccettivo, ma un abortivo (vedi anche intercezione). L’efficacia dei contraccettivi è misurata dall’indice di Pearl, che indica il numero di gravidanze in un anno su 100 donne che usino quel singolo contraccettivo. L’indice di Pearl è tanto più basso quanto minore è il rischio (R) di gravidanza del metodo considerato. Il contraccettivo ideale dovrebbe avere R = 0, cioè un’efficacia del 100%; in realtà anche senza contraccezione R non è mai 100, ma è circa 80 a causa di fattori di infertilità naturali, e a tale valore va paragonato. Ultima arrivata è la pillola che si assume per 91 giorni consecutivi e prevede pertanto solo 4 cicli mestruali all'anno, come suggerisce il nome commerciale anglosassone "Seasonal", cioè stagionale. Sul mercato dall'ottobre 2003, sembra offrire le stesse garanzie di tollerabilità e di efficacia anticoncezionale della comune piccola "mensile".

Cute

Strato di tessuto che separa l’organismo dal mondo esterno. È costituita da due parti l’epidermide e il derma tessuto continuo, detto anche pelle, che riveste esternamente tutto il corpo e, in corrispondenza con le aperture naturali, si continua con la mucosa che tappezza le cavità interne dei vari apparati (digerente, respiratorio, urogenitale). Insieme agli annessi forma l’apparato tegumentario.

 

D

Diagnosi

Frutto del ragionamento clinico che porta all’individuazione della causa dei disturbi del malato.

 

E

Ecografia (o ecotomografia)

Tecnica diagnostica basata sull’impiego di ultrasuoni. Con una sonda appoggiata sulla pelle si invia un fascio di ultrasuoni verso le strutture corporee da esaminare. In relazione alla densità dei tessuti attraversati, gli ultrasuoni vengono variamente riflessi, raccolti dalla stessa sonda emettitrice ed elaborati dall’apparecchio in un’immagine su monitor. In tal modo è possibile discriminare raccolte solide o gassose, o analizzare finemente alterazioni di struttura degli organi solidi. A seconda della diversa analisi spaziale e temporale offerta dall’apparecchio, si distinguono l’ecografìa “A Mode”, di prevalente impiego in cardiologia, e l’ecografìa bidimensionale o “B Mode”, di più ampia utilizzazione, per esempio, nell’esame degli organi addominali. Le attuali apparecchiature ecografiche permettono di valutare anche la funzionalità complessiva del cuore che si valuta con la frazione di eiezione, che si valuta normale per valori sopra il 50%. L’avvento dell’ecografìa ha consentito di avere a disposizione uno strumento diagnostico maneggevole, non invasivo e soprattutto sicuro e sufficientemente preciso. Attualmente il campo d’applicazione dell’ecografìa è vastissimo: dall’esame di organi addominali quali fegato, milza, pancreas, reni e vie urinarie, linfonodi, vescica, prostata, ovaio, alla ricerca di raccolte liquide, cisti, processi degenerativi, infiammatori o tumorali in grado di alterare l’ecostruttura normale del tessuto. Sotto la guida dello strumento possono essere effettuate biopsie profonde. L’ecografìa permette inoltre di effettuare indagini su strutture più superficiali quali tiroide, paratiroide, testicolo e mammella, con analoghi intenti diagnostici. Grazie al principio fisico dell’effetto doppler, l’ecografìa viene utilizzata nello studio delle affezioni dei vasi sanguigni (vedi anche doppler). La diagnosi ecografica è applicabile anche alle malattie cerebrali del feto e del neonato. L'ecografia risulta utile anche per esaminare le strutture muscolo-tendinee superficiali, come quelle della spalla, della mano e del piede: frequente è la possibilità di individuare ad esempio lesioni del capo lungo del bicipite soggetto a lesioni da stiramento. Per l’assoluta assenza di rischi per la madre e il feto l’ecografìa è ampiamente utilizzata nel monitoraggio della gravidanza normale e patologica.

Endometrio

Mucosa che tappezza la cavità dell’utero, formata da uno strato di epitelio ghiandolare e da mucosa direttamente aderente al miometrio. L’endomètrio più superficiale va incontro alle modificazioni che sono proprie del ciclo mestruale; il più interno, o basale, ha funzione di rigenerazione.

Epitelioma

Tumore maligno che origina dagli epiteli di rivestimento della cute, delle mucose e degli organi parenchimatosi. Le due varietà principali sono l’epitelioma basocellulare e l’epitelioma spinocellulare. La terapia degli epiteliomi è di tipo chirurgico o radiante. La chirurgia classica escissionale può essere sostituita dalla chirurgia micrografica. Lesioni molto piccole possono essere distrutte mediante diatermocoagulazione, laserterapia o azoto liquido.
L’epitelioma basocellulare, o basalioma, colpisce adulti o anziani: si nota una maggiore incidenza nei maschi di età compresa fra i 60 e i 70 anni. La sede più interessata è quella del viso, anche se può essere coinvolta qualsiasi area cutanea, con prevalenza per le zone fotoesposte. Le mucose vengono risparmiate. Il basalioma può manifestarsi sotto molteplici forme cliniche: l’aspetto più comune è quello di piccoli noduli duri, traslucidi, con tendenza alla ulcerazione centrale. Tale ulcera è caratterizzata dalla cronicità e dalla tendenza a estendersi. Durante l’accrescimento di tale formazione può comparire, al di sopra dell’erosione, una crosta. Le lesioni sono asintomatiche e il sanguinamento rappresenta l’unico sintomo manifesto. In altre forme cliniche si nota una spiccata tendenza alla progressione in profondità dell’ulcerazione, con distruzione di tessuti e complicazioni emorragiche, oppure, al contrario, la lesione si presenta molto superficiale, come una chiazza eritemato-squamo-crostosa. Il basalioma può anche presentare una spiccata pigmentazione, per cui si rende necessaria la diagnosi differenziale rispetto al melanoma. Il basalioma evolve molto lentamente e, pur essendo un tumore maligno, la comparsa di metastasi è eccezionale. La diagnosi è istologica.
Lo spinalioma L’epitelioma spinocellulare, o spinalioma, può interessare sia la cute sia le mucose, con netta predilezione per le aree fotoesposte, specie quelle del capo. La sua incidenza aumenta con l'età (soprattutto dopo i 60 anni) ed è due volte superiore nei maschi rispetto alle femmine.
Prolungata esposizione alla luce solare, contatto con catrame, arsenicismo cronico, tabagismo, pregressa radioterapia, infezione da HIV: tutte queste sono condizioni potenzialmente predisponenti allo sviluppo di uno spinalioma. Esso può insorgere su cute sana o alterata da precedenti lesioni (precancerosi), come per esempio, nella cheratosi attinica, e assumere aspetto nodulare (con consistenza dura e precoci ulcerazioni), papillomatoso, vegetante o superficiale. Mostra una tendenza alla distruzione dei tessuti vicini e a diffondersi ai linfonodi metastatizzandoli. Segni di evoluzione sono: la comparsa di infiltrazione profonda, l'ulcerazione e l'accentuazione dei fenomeni infiammatori. La diagnosi è istologica.

 

F

Faringe

Canale muscolomembranoso attraverso il quale passano il bolo alimentare, che dalla bocca scende all’esofago, e l’aria respiratoria, che dal naso e dalla bocca va alla laringe. Viene normalmente distinta in tre porzioni: superiore (rinofaringe), intermedia (orofaringe) e inferiore (laringofaringe). Comunica superiormente con le fosse nasali e con la bocca, inferiormente con laringe ed esofago. Esaminata dall’esterno, la faringe presenta una parete posteriore e due laterali, mentre è priva di quella anteriore, sostituita, dall’alto verso il basso, dal margine posteriore del setto fra le coane nasali, dalla parte faringea del velo palatino, dalla faccia dorsale degli archi glossopalatini e dal dorso della radice della lingua, e infine dalla parete posteriore della laringe, sulla quale si appoggia direttamente la mucosa della faringe. Internamente la cavità faringea presenta nella parte superiore una volta, nella quale è contenuta la tonsilla faringea; nella parte anteriore, a livello dell’orofaringe, vi è l’andito della laringe, un orifizio ovale sormontato dall’epiglottide che, piegandosi all’indietro, può occluderlo, impedendo il passaggio degli alimenti nella trachea. Nelle pareti laterali, all’altezza del rinofaringe, si trova l’ostio di sbocco delle tube di Eustachio. La faringe possiede un’impalcatura fibrosa, sulla quale, esternamente, si inseriscono i muscoli costrittori ed elevatori, e internamente si addossa la mucosa, ricca di noduli linfatici. Esternamente ai muscoli è rivestita da una sottile tunica di tessuto connettivo fibrillare lasso.

 

G

Gene

Unità biologica semplice depositaria di un carattere ereditario e della sua trasmissione (vedi genetica).

Genetica

Scienza che studia la natura e le proprietà dei meccanismi di trasmissione dei caratteri ereditari, di generazione in generazione. I caratteri ereditari. L’ereditarietà dei caratteri, nell’incrocio fra individui che differiscono per uno o più caratteri, si spiega con il fatto che le cellule sessuali contengono dei fattori (geni) portanti un determinato aspetto (allele) di un carattere che viene ereditario dai discendenti; dei due alleli dello stesso carattere uno può manifestarsi nel fenotipo del discendente (allele dominante), l’altro non appare (allele recessivo), oppure si può avere una eredità intermedia, con un aspetto intermedio del carattere, impossibile a isolarsi puro nella discendenza.
Genetica e malattie ereditarie. Uno dei più importanti campi di interesse della moderna genètica umana è costituito dallo studio delle malattie o disturbi ereditari per quanto riguarda i meccanismi d’insorgenza, le modalità di trasmissione, le tecniche di individuazione precoce e di prevenzione. È opportuno considerare che oltre un quinto delle sostanze di natura proteica presenti nell’organismo umano compare con caratteristiche che in qualche maniera differiscono da quelle tipiche della stragrande maggioranza della popolazione. Questo notevolissimo grado di variabilità genetica, o polimorfismo, all’interno della popolazione “normale”, giustifica in larga misura le variazioni naturali che hanno luogo nelle caratteristiche somatiche e psichiche dei singoli individui, dall’altezza all’intelligenza, alla pressione arteriosa e così via. Inoltre queste differenze genetiche determinano marcate diversità nella capacità di ogni singolo individuo di affrontare gli stimoli e le condizioni ambientali esterne, comprese quelle capaci di causare uno stato morboso. Di conseguenza, sotto questo aspetto, ogni malattia può essere considerata come il prodotto risultante dall’interazione tra un dato corredo e assetto genetico e l’ambiente esterno. In taluni casi, tuttavia, la componente genetica della patologia è così rilevante da dare luogo a manifestazioni morbose indipendentemente dall’interazione con fattori ambientali: queste malattie vengono propriamente definite come disordini genetici. Le malattie genetiche vengono usualmente distinte in tre gruppi: le anomalie cromosomiche, che comportano la mancanza, l’eccesso o l’assetto anomalo di uno o più cromosomi; le malattie ereditarie semplici, causate dalla presenza di un singolo gene mutante (tale caratteristica è evidenziata dal fatto che questi disturbi presentano modalità semplici di trasmissione ereditaria, classificabili come autosomiche dominanti, autosomiche recessive, o legate al sesso); le malattie genetiche multifattoriali, causate dall’interazione tra più geni e molteplici fattori esogeni o ambientali.
Anomalie cromosomiche: Il corredo cromosomico di ogni individuo (cioè il numero e la struttura dei cromosomi) può essere studiato mediante opportune metodiche di laboratorio, che consentono di identificare con precisione ogni singolo cromosoma mediante speciali tecniche di colorazione del materiale del DNA o con la microscopia a fluorescenza. Analoghe indagini possono essere compiute sul materiale cellulare fetale prelevato con speciali tecniche (amniocentesi, fetoscopia, prelievo di villi coriali) al fine di identificare il più precocemente possibile la presenza di eventuali anomalie cromosomiche. Queste possono riguardare il numero dei cromosomi o la loro struttura; tra le alterazioni del numero, le più frequenti sono rappresentate dalla trisomia (presenza di 47 cromosomi), dalla monosomia (45 cromosomi) e dalla triploidia (69 cromosomi); il cromosoma in eccesso o mancante può derivare sia dal padre sia dalla madre e riguardare sia la serie degli autosomi (per esempio, la trisomia 21, che dà luogo alla sindrome di Down), sia quella sessuale (per esempio, la trisomia XX, o XXX). Solo alcune forme di trisomia o monosomia sono compatibili con la sopravvivenza del feto, mentre la maggioranza è causa di morte intrauterina, così come per la triploidia. I meccanismi responsabili di queste alterazioni numeriche sono certamente molteplici: per esempio, l’età della madre o l’esposizione della madre a radiazioni ionizzanti. Le alterazioni strutturali dei cromosomi sono prevalentemente rappresentate da fenomeni di traslocazione, in seguito ai quali il materiale cromosomico va incontro a particolari riarrangiamenti con formazione di cromosomi diversi dall’originale. Non di rado queste anomalie sono ben compensate all’interno del genoma e vengono trasmesse di generazione in generazione senza produrre effetti clinicamente evidenti; in altre situazioni, invece, questi fenomeni sono così importanti da dare origine al concepimento di embrioni con genomi sbilanciati, che si manifestano nel soggetto interessato con particolari malattie o disturbi, quali il ritardo mentale, il ritardo dello sviluppo somatico, malformazioni cardiache o a carico delle orecchie, del naso, della bocca, delle dita ecc.
Le malattie ereditarie semplici. Le malattie ereditarie semplici sono invece causate dalla trasmissione di un singolo gene sottoposto a “mutazione”, cioè a una modificazione della sequenza del DNA. Tale trasmissione può avvenire per via autosomica dominante o per via autosomica recessiva, oppure può essere legata al sesso. Il termine “dominante” indica che l’avvenuta mutazione ha una tale espressività da dare luogo a manifestazioni cliniche anche in soggetti che presentano tale anomalia su un solo cromosoma, cioè anche in condizione di eterozigosi (in altri termini che presentano un solo allele anomalo, mentre il corrispondente è normale). Il termine “recessivo” indica che la condizione diviene clinicamente manifesta solo quando l’anomalia è presente in ambedue gli alleli (omozigosi). Si parla di “via autosomica” quando l’allele interessato è situato su uno dei 44 cromosomi della serie autosomica, mentre la trasmissione si dice “legata al sesso” quando il gene responsabile è situato sul cromosoma sessuale X. Quest’ultima caratteristica fa sì che il rischio e la gravità clinica delle affezioni trasmesse per questa via siano differenti nei due sessi: in particolare le malattie ereditarie legate al sesso, di tipo recessivo (nella madre), si presentano pressoché esclusivamente nei figli maschi (per esempio, è questo il caso dell’emofilia A). Le caratteristiche generali delle malattie trasmesse per via autosomica sono: ogni soggetto affetto ha un genitore ugualmente colpito e può dare origine a figli sani o malati con eguali probabilità; i figli sani di un genitore malato hanno solamente figli sani: i due sessi sono colpiti nella stessa proporzione; la condizione patologica si trasmette verticalmente di generazione in generazione. Le principali affezioni di questo tipo sono: l’ipercolesterolemia familiare; la sindrome di Marfan; la malattia di von Willebrand; la stenosi subaortica ipertrofica; la porfiria acuta; la corea di Huntington. Le malattie autosomiche recessive si manifestano clinicamente solo nello stato omozigote, quando entrambi gli alleli sono interessati alla mutazione. Dal punto di vista genetico, la relativa rarità dei geni recessivi nella popolazione e la necessaria presenza di due geni anomali per dare luogo all’espressione clinica della malattia fanno sì che questa modalità di trasmissione richieda particolari condizioni: se entrambi i genitori sono portatori dello stesso gene recessivo i figli avranno il 25% delle probabilità di essere normali, il 50% di essere portatori eterozigoti (avendo un solo allele mutante), il 25% di essere omozigoti e quindi affetti dal disturbo; se due soggetti con la stessa malattia recessiva si sposano tra loro, tutti i figli ne saranno affetti; se un soggetto affetto sposa un soggetto eterozigote, i figli avranno il 50% delle probabilità di esserne affetti. Il matrimonio tra consanguinei accentua evidentemente il rischio, in quanto più facilmente si possono incontrare soggetti portatori di geni mutanti recessivi. Le malattie autosomiche recessive sono la fenilchetonuria, la fibrosi cistica (o mucoviscidosi), l’anemia falciforme (o drepanocitosi), la beta-talassemia, l’albinismo, la malattia di Wilson, l’omocistinuria, l’enfisema ereditario (per deficit di alfa-1-antitripsina). Nelle malattie ereditarie legate al sesso i geni anomali sono localizzati sul cromosoma sessuale X e di conseguenza il rischio clinico e la gravità della malattia sono diversi nei due sessi. Dato che il maschio presenta un solo cromosoma X, la presenza di un gene mutante dà luogo inevitabilmente alla manifestazione clinica morbosa, indipendentemente dall’espressività (recessiva o dominante) del carattere. Le malattie ereditarie legate al sesso non possono essere trasmesse da maschio a maschio, cioè dal padre al figlio, mentre il padre le trasmette a tutte le figlie. Nell’albero genealogico della famiglia la distribuzione delle malattie legate al sesso è diversa a seconda che si tratti di caratteri recessivi o dominanti (nella donna): nel primo caso, la malattia colpisce solo i maschi nati da madri portatrici (clinicamente sane), mentre nel secondo il disturbo è presente tanto nei maschi quanto nelle femmine nati da madri affette, oltre che nelle femmine nate da padri affetti. Le principali forme ereditarie legate al sesso di tipo recessivo sono l’emofilia A, la distrofia muscolare tipo Duchenne, il deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi, la cecità per i colori. Tra le forme morbose legate al sesso dominanti hanno una certa importanza clinica lo pseudoipoparatiroidismo e il rachitismo resistente alla vitamina D. Malattie genetiche multifattoriali. In questo gruppo vengono compresi numerosi quadri morbosi (solitamente di carattere cronico-degenerativo, a carico degli adulti), quali l’ipertensione essenziale, le malattie coronariche, il diabete mellito, l’ulcera peptica, alcuni disturbi mentali, che caratteristicamente presentano un andamento familiare e i cui meccanismi patogenetici comprendono una serie di geni (più o meno alterati) che interagiscono in maniera cumulativa fino a dare luogo alla manifestazione clinica. In altri termini, la componente ereditaria di queste affezioni si manifesta nell’interazione di molteplici fattori “predisponenti” (su base genetica) con fattori multipli ambientali. Dato che il numero esatto dei geni responsabili di questi tratti poligenici non è noto, è assai difficile calcolare con precisione il rischio che un soggetto corre di ereditare una certa condizione morbosa. L’ipotesi della componente poligenica nell’ereditarietà delle malattie multifattoriali ha ricevuto negli anni recenti un solido supporto dalla dimostrazione che almeno un terzo di tutti i loci genici ospitano alleli polimorfi che presentano un’ampia variabilità nei singoli individui. Questo fenomeno giustifica la variabilità della risposta individuale nell’interazione con i fattori ambientali. Attualmente sono ben note alcune associazioni tra la predisposizione a sviluppare particolari malattie e specifici assetti genici destinati al controllo del sistema dell’istocompatibilità (il cosiddetto sistema HLA, Human Leucocyte Antigen, costituito dal corredo antigenico presente sulla superficie dei leucociti e delle cellule corporee, e che consente al sistema immunitario di ogni individuo di distinguere il proprio patrimonio somatico da quello degli altri soggetti). È stato per esempio, dimostrato che la presenza di determinati alleli nei loci HLA predispone il soggetto allo sviluppo di alcune specifiche malattie, quali la spondilite anchilosante, la psoriasi, l’epatite cronica attiva, la miastenia grave, il diabete mellito, l’ipertiroidismo, il morbo di Addison ecc. In altri casi, l’assetto genico predispone all’insorgenza di quadri morbosi come la palatoschisi, le cardiopatie congenite e coronariche, l’epilessia (specialmente le forme idiopatiche dell'adolescenza), l’ipertensione, le affezioni della tiroide, mentre in altre circostanze si possono osservare reazioni abnormi in seguito all’esposizione a sostanze o farmaci (come nell’intolleranza all’insoniazide o agli anticoagulanti orali o come nel caso dell’ipertermia maligna e così via).
La consulenza genetica. Molte delle alterazioni genetiche possono essere efficacemente evitate attraverso la prevenzione. Elemento essenziale della prevenzione è l’identificazione dei soggetti in grado di dare origine a genotipi anomali (individui portatori di geni mutanti dominanti o legati al cromosoma X, o di traslocazioni cromosomiche, o ancora partner entrambi portatori di geni recessivi negativi). Nella gran parte dei casi il sospetto diviene evidente alla nascita di un figlio (o di uno stretto parente) affetto da un particolare disturbo: si tratta in questo caso di eseguire un’indagine genetica “retrospettiva”, per verificare la diagnosi e valutare il rischio relativo, cioè le probabilità esistenti che un figlio successivo possa essere ugualmente affetto dall’anomalia in questione. Questa stima appare relativamente semplice per le affezioni trasmesse per via autosomica recessiva o legata al sesso, mentre risulta assai più complessa per le forme trasmesse per via autosomica dominante o secondo meccanismi multifattoriali. Un altro importante aspetto della prevenzione eugenetica consiste nella consulenza “preventiva”, che consente di identificare i soggetti portatori di possibili difetti genetici prima che abbiano dato alla luce un figlio affetto dal disturbo. Per ottenere questo obiettivo è essenziale identificare i soggetti eterozigoti (per un determinato gene anomalo) mediante procedure di screening di massa; i soggetti così identificati devono essere opportunamente istruiti sul potenziale rischio cui vanno incontro in caso di matrimonio con un soggetto portatore della stessa anomalia genica. In questi casi appare assolutamente necessaria un’accurata indagine prematrimoniale sui due soggetti, in vista di una futura procreazione. Attualmente è possibile identificare mediante operazioni di screening sulla popolazione numerose affezioni autosomiche recessive come la talassemia (o anemia mediterranea), l’anemia falciforme, disturbi del metabolismo, che compaiono con particolare frequenza all’interno di certi gruppi etnici. A queste possibilità preventive si aggiunge quella della diagnosi prenatale, che permette di scoprire alcune malattie genetiche ancora in uno stadio relativamente precoce della gravidanza, con la possibilità di un’interruzione, evitando la nascita di un figlio gravemente menomato vedi anche genetica).

 

H

Hpv, papilloma umano, virus del

Virus responsabile della formazione delle verruche cutanee e genitali e dei condilomi acuminati. Si ritiene responsabile anche del tumore della cervice uterina.

 

I

Idrope

Versamento diffuso di trasudato nelle cavità sierose del corpo. Secondo la cavità interessata si ha: ascite, idrartro, idrocele, idrocefalo, idrotorace, idropericardio ecc., compreso l'edema (quando il liquido si raccoglie negli spazi intercellulari). Se il versamento interessa più cavità, si parla di ìdrope generalizzata. La causa più frequente è la stasi di origine circolatoria per cui una quota dei liquidi del sangue trasuda dai vasi nelle cavità sierose; lo stesso fenomeno può prodursi per una diminuzione della pressione oncotica delle proteine plasmatiche (per esempio, nelle disprotidemie da insufficienza epatica) o, più raramente, per lesioni dei vasi. L’ìdrope fetale è una sindrome che insorge nel feto in presenza di una grave forma di anemia emolitica (per esempio alfa-talassemia, incompatibiltà da fattore Rh). Un neonato con ìdrope è un soggetto a forte rischio, necessita pertanto di un centro di terapia intensiva. Il trattamento cardine è la trasfusione di sangue. L’ìdrope endolinfatica consiste in una dilatazione generalizzata del labirinto membranoso dell’orecchio: questo quadro è presente nella sindrome di Ménière. L’ìdrope della colecisti è una raccolta di liquido bianco, costituito da bile riassorbita in una colecisti esclusa dalle vie biliari per calcolosi o processi infiammatori (colangiti, colecistiti).

Immunitario, sistema

Complesso sistema in grado di garantire all’organismo umano, mediante la produzione di anticorpi specifici e altri sofisticati meccanismi, l'immunità, cioè un’efficace difesa contro l’aggressione da parte di microrganismi patogeni o da parte di altre sostanze estranee. Il sistema immunitario, in parte innato e in parte adattativo, svolge una funzione essenziale nella difesa contro le malattie infettive e più in generale nell’azione di conservazione dell’integrità dell’organismo.

incidenza, tasso di

In epidemiologia, indica il numero di nuovi casi di una malattia che si presentano in un determinato intervallo di tempo.

 

L

Laringe

Formazione anatomica situata nella parte centrale antero-superiore del collo; è l’organo della fonazione, nonché via respiratoria. Organo cavo, il suo scheletro è determinato dall'articolazione reciproca, per mezzo di legamenti, di varie strutture cartilaginee. Tra queste, le principali sono: la cartilagine tiroide, la cricoide, la epiglottide e le due aritenoidee. Le cartilagini tra loro, così come l'organo nel suo insieme, sono dotate di notevole mobilità, garantita anche da un ricco corredo muscolare. La cartilagine cricoide fa da elemento portante di tutta la struttura; sulla cartilagine tiroide si appoggia, in condizioni normali, parte della tiroide; le cartilagini aritenoidi entrano a far parte della costituzione delle corde vocali vere; la cartilagine epiglottidefunziona come una valvola, che si abbassa per sbarrare al cibo e alla saliva l'accesso alla laringe durante la deglutizione, e si alza per consentire il passaggio dell'aria durante la respirazione. La cavità interna della laringe ha la forma di una clessidra ristretta in corrispondenza di due paia di corde vocali: quelle superiori sono dette corde vocali false (perchè non fanno parte dell'apparato vocale), quelle inferiori sono dette corde vocali vere (perché vibrando partecipano attivamente ai meccanismi della fonazione). La cartilagine tiroidea nel maschio forma una prominenza nota come pomo d’Adamo. L’apertura della glottide, mediata dall'epiglottide, viene variata durante la fonazione per regolare l’ampiezza dei suoni, la cui altezza dipende dalla tensione delle corde vocali operata dai muscoli vocale e cricotiroideo. Il timbro dei suoni è invece dovuto ad armoniche prodotte nelle cavità sopra-laringee (tra queste, i seni del massiccio facciale del cranio) dalla corrente d’aria espirata.

Laringoscopia

Esame endoscopico della laringe, eseguito a scopo diagnostico o per effettuare piccoli interventi chirurgici. La laringoscopìa indiretta si esegue con lo specchietto laringeo; la laringoscopìa diretta si attua col laringoscopio in anestesia generale e a paziente curarizzato, il che permette anche di eseguire prelievi bioptici e piccoli interventi chirurgici. Un’ulteriore tecnica di laringoscopìa è la microlaringoscopia, che offre una visione molto più dettagliata della mucosa laringea.

Linfoma di Hodgkin, morbo di (o linfogranuloma maligno)

Linfoma ovvero tumore caratterizzato dalla trasformazione maligna di cellule del sistema linfatico, la cui origine resta sconosciuta. A questo proposito, sono stati chiamati in causa fattori infettivi, esposizione cronica a sostanze tossiche (benzolo oppure terapia con anticonvulsivanti), senza tuttavia giungere a una conclusione definitiva. Colpisce tutte le età, ma con due picchi di incidenza: uno fra i 15 e i 35 anni, un altro dopo i 50. Esordisce generalmente con una adenomegalia asintomatica o sintomatica cui possono associarsi febbre superiore a 38° senza segni di infezione, profusa sudorazione notturna, calo ponderale senza causa apparente di più del 10% del peso corporeo iniziale nei 6 mesi precedenti e, a volte, prurito. Le manifestazioni iniziali possono tuttavia variare, in funzione della stazione linfonodale primitivamente colpita, che nella maggior parte dei casi corrisponde ai linfonodi laterocervicali o sopraclavicolari. Possono inoltre essere presenti anemia, aumentata suscettibilità alle infezioni (una delle caratteristiche del morbo di Hodgkin è, infatti, la precoce compromissione dell'immunità cellulare), ingrossamento dei linfonodi superficiali (oltre a quelli laterocervicali e sopraclaveari, anche quelli ascellari e inguinali) e profondi (intratoracici, intraddominali), nonché segni derivanti dall'interessamento di organi quali milza, fegato, midollo osseo, scheletro, cute. La diagnosi si fonda sull’esame istologico al microscopio ottico del materiale patologico, perlopiù un linfonodo, prelevato dal paziente mediante biopsia (il riscontro patognomonico è quello di particolari cellule, dette di Reed-Sternberg, frammiste a linfociti, plasmacellule, macrofagi e granulociti). Accertata la diagnosi, è indispensabile valutare il grado di diffusione della malattia attraverso esami di laboratorio e tecniche strumentali (raggi X, TAC, ecografia; più di rado, e in casi selezionati, si ricorre anche a linfografia, biopsia del midollo osseo, laparoscopia e laparotomia esplorativa). Questa procedura di stadiazione riveste enorme importanza in quanto influenza notevolmente la prognosi e le scelte terapeutiche. Attualmente il morbo di Hodgkin viene classificato in quattro stadi, a seconda dell’interessamento di una o più stazioni linfonodali, di regioni al disopra o al disotto del diaframma, della compromissione della milza e di altri organi. Il trattamento si fonda sulla polichemioterapia e la radioterapia (anche total-body), frequentemente associate, e consente oggi di ottenere un elevatissimo numero di guarigioni complete. È ormai comune la procedura che prevede - dopo la somministrazione di chemio + radioterapia secondo schemi e protocolli codificati - il ricorso al trapianto di midollo osseo. Questo può, se è il caso, essere seguito da terapia di sostegno con fattori di crescita (di granulociti e macrofagi, per esempio) o interleuchina.

Linfonodo

Organo del sistema linfatico costituito da una piccola massa globosa di grandezza variabile da un piccolo pisello a una nocciola. Ogni linfonodo è rivestito da una capsula di tessuto connettivo: in esso si distinguono una zona corticale, contenente noduli linfatici, e una zona midollare nella quale sono localizzati cordoni di cellule linfocitarie che si intrecciano delimitando degli spazi (seni midollari). La linfa penetra nel linfonodo per mezzo dei vasi linfatici e ne fuoriesce dopo aver subito modificazioni chimiche. I linfonodi possono trovarsi lungo le vie linfatiche, isolati o raccolti nelle stazioni linfatiche in cui confluisce la linfa di un territorio topograficamente determinato; vengono considerati depositi di riserva e prendono il nome dal territorio da cui raccolgono la linfa stessa: per esempio, linfonodi ascellari.

Linfonodo sentinella

L'esame del linfonodo sentinella rappresenta una metodo diagnostica scarsamente invasivo che permette di predire la presenza di metastasi nei linfoni ascellari in presenza di un tumore della mammella. Si effettua studiandoil linfonodo che, per primo, riceve la linfa dall'area in cui è situato il tumore primario.
In caso di metastasi, il carcinoma mammario si diffonde attraverso il sistema linfatico seguendo un percorso ordinato e progressivo, interessando in primo luogo i linfonodi più esterni o del "primo livello linfonodale". La positività del cosiddetto linfonodo sentinella è dunque il segnale di un coinvolgimento ascellare, mentre la sua negatività può indicare l'assenza di malattia nella regione ascellare. Nel primo caso è necessario procedere alla dissezione ascellare completa, che può comportare conseguenze fastidiose come l'edema linfatico dell'arto superiore. Nel secondo caso, è possible evitare un'ulteriore dissezione. La procedura si basa sulla somministrazione di un tracciante radiomarcato alcune ore prima dell'intervento, durante il quale una sonda radiosensibile permette di localizzare il linfonodo più prossimo al tumore, che viene asportato ed esaminato immediatamente per verificare la presenza di metastasi.

 

M

Mammella

Ognuna delle due strutture ghiandolari poste nella parte anteriore del torace: ipotrofiche nel maschio, le mammelle sono particolarmente sviluppate nelle femmine e destinate alla secrezione del latte per l’alimentazione dei piccoli nel primo periodo di vita. Nei neonati d’ambo i sessi le mammelle presentano una lieve tumefazione e possono secernere gocce di colostro; tale fenomeno può di nuovo comparire all’epoca della pubertà. Per tutta l’età infantile, comunque, le mammelle non appaiono rilevate e il capezzolo ha dimensioni ridotte.

Mammografia

Esame radiologico diretto della mammella: fornisce informazioni sulle strutture delle ghiandole e sulle eventuali alterazioni. Indicata per la prevenzione del carcinoma della mammella attraverso programmi di screening di massa, la mammografìa si effettua, inoltre, a scopo diagnostico, quando la palpazione rilevi la presenza di un nodulo mammario sospetto o comunque la presenza di alterazioni del tessuto ghiandolare di natura da determinare (per esempio, mastopatia fibrocistica ecc.). È l'unica tecnica che permette l'esplorazione della mammella in tutta la sua completezza, e è quella che offre la maggiore sensibilità, in particolare per i tumori in fase iniziale: su 100 tumori di diametro inferiore a 1 cm, infatti, la mammografia ne può svelare oltre 90, le altre tecniche 40 o meno. La mammografia è particolarmente efficace -ai fini diagnostici- nelle donne di età compresa tra i 50 e i 70 anni: questa è pertanto l'età in cui sono maggiormente efficaci i programmi di screening del carcinoma della mammella che utilizzano la mammografia. Benché l'evoluzione tecnologica abbia reso questa tecnica più affidabile anche nelle donne al di sotto dei 50 anni d'età, nelle donne più giovani la mammografia non trova indicazione preventiva: sia per la particolare struttura della mammella giovanile, meno sondabile con questo mezzo di indagine (il che rende ambigui i risultati nelle donne più giovani), sia perché in questo caso il rischio di danno indotto dalle radiazioni potrebbe superare il reale beneficio (non vi sono tuttavia dati conclusivi su questo tipo di rischio). Allo stesso modo, va detto che non ci sono attualmente prove che lo screening presenti vantaggi nelle donne più anziane. I segni mammografici più frequenti di carcinoma sono la formazione noduliforme radiopaca a contorni irregolari e la presenza di focolai di piccole calcificazioni. Quest'ultimo segno è presente in circa la metà dei carcinomi scoperti in fase preclinica. La mammografia non è comunque esente da errori e bisogna avere una conoscenza sufficiente dei suoi limiti per evitare una falsa tranquillità. La mancata dimostrazione di un carcinoma può dipendere dall'uso di apparecchiature non idonee, da una non perfetta esecuzione metodologica, da un'interpretazione errata, ma anche dal fatto che il tumore può non lasciarsi riconoscere a causa della sua particolare struttura o a causa del contesto morfostrutturale in cui si sviluppa. La finalità generale della diagnosi mammografica è quella di rivelare le neoplasie della mammella quando sono piccole e in uno stadio iniziale e presentano altre caratteristiche favorevoli di prognosi.

Markers

Termine inglese (indicatori, marcatori) usato in medicina per definire sostanze in grado di svelare la presenza di determinate malattie: in genere si tratta di enzimi, antigeni, anticorpi, la cui produzione aumenta in certe condizioni. I markers tumorali, per esempio, possono essere presenti nelle sezioni istologiche (ottenute da biopsie) e permettere la diagnosi di certi tumori; oppure possono circolare nel siero: in questo caso possono essere indicativi della possibilità che sia presente un certo tipo di tumore; l'utilità maggiore dei markers tumorali, tuttavia, più che diagnostica è prognostica: in linea di massima, infatti, poiché il livello plasmatico dei markers è in funzione dell’attività (estensione o aggressività) del tumore, è possibile -attraverso il loro monitoraggio nel tempo- valutare l’efficienza della terapia eventualmente instaurata e avere indicazioni sulla probabilità di sopravvivenza del paziente. I markers dell’epatite virale, invece, sono antigeni (proteine appartenenti ai virus) o anticorpi (proteine prodotte dall’organismo contro i virus), che permettono di stabilire sia il tipo di virus infettante (A, B o D), sia lo stadio dell’infezione (malattia in corso, guarigione, stato di portatore ecc.).

Mastectomìa

Asportazione chirurgica della mammella in presenza di un tumore maligno. L’introduzione della mammografia e una migliore educazione sanitaria hanno permesso di diagnosticare precocemente, quando sono ancora di piccole dimensioni, un numero sempre più elevato di tumori della mammella. Ciò ha rivoluzionato la terapia chirurgica del carcinoma mammario, dando spazio a interventi sempre meno demolitivi. Attualmente si conducono prevalentemente i seguenti tipi di interventi: (1) Resezione mammaria limitata: viene asportata solo una piccola porzione di tessuto mammario comprendente il tumore. Suoi sinonimi sono: tumorectomia o biopsia escissionale. (2) Resezione mammaria ampia: la porzione di tessuto mammario che viene asportato comprende il tumore e almeno 1 cm di parenchima mammario circostante macroscopicamente sano. (3) Quadrantectomia: consiste nella asportazione di un ampio settore di ghiandola mammaria, insieme alla cute soprastante e alla sottostante fascia del muscolo pettorale. Il margine di tessuto sano circostante il nodulo che viene asportato non deve essere inferiore ai 3 cm. (4) Mastectomia totale o semplice: vengono asportate la ghiandola mammaria e una losanga di cute soprastante. (5) Mastectomia radicale: il termine radicale non è oggi più impiegato, perché quello della radicalità è un concetto che costituisce oggi l'obiettivo sia della chirurgia demolitiva che di quella conservativa. (6) Mastectomia sottocutanea: in questo caso, la ghiandola mammaria viene asportata rispettando la cute soprastante. (7) A questi interventi possono essere associate dissezioni ascellari totali o parziali, con asportazione di tutti o solo di parte dei linfonodi regionali. In conclusione, ricordiamo che la chirurgia va considerata nel contesto generale del trattamento delle neoplasie mammarie come la più importante delle armi a disposizione, ma non l'unica.

Melanoma

Tumore maligno delle cellule del sistema melanocitario (melanociti), che si instaura in un terzo dei casi su un nevo nevocellulare congenito giunzionale, mentre nei casi restanti si manifesta su cute apparentemente sana o in sedi extracutanee come le mucose visibili, l'occhio, le leptomeningi, l'ovaio e l'apparato digerente. Fattori di rischio. L'eziologia del melanoma è molteplice e, nella maggioranza dei casi, ancora sconosciuta. È dimostrato che i nevi nevocellulari congeniti possono fungere da precursori della neoplasia e è pertanto consigliabile sottoporli a controllo periodico. Appaiono, inoltre, più esposti a rischio di melanoma soggetti con particolari caratteristiche fisiche: capelli biondi o rossi, occhi chiari, cute che si arrossa al sole e non si abbronza, che presentano numerosi nevi acquisiti, dalle colorazioni e forme irregolari; anche in questo caso è utile il controllo periodico e l’asportazione chirurgica delle lesioni sospette. Il trauma sul nevo non ha un’importanza rilevante per la sua degenerazione maligna. Varianti cliniche Si distinguono 4 tipi principali di melanomi: (1) lentigo maligna: è la varietà a più lenta evoluzione; insorge su cute sana, solitamente al volto, più spesso negli individui anziani; (2) a diffusione superficiale: è la varietà più frequente; insorge su un nevo preesistente, prediligendo le zone coperte; (3) acrolentigginoso: insorge su cute sana o su nevo, tipicamente in sede palmo-plantare, sottoungueale o mucosa; (4) nodulare: la varietà più aggressiva, insorge su cute sana o su nevo, in qualunque regione del corpo; la lesione nodulare aumenta rapidamente di volume, diffondendosi in profondità ed eventualmente ulcerandosi in superficie.
Sintomatologia Un nevo preesistente che cambia colore, si accresce e si circonda di un alone emorragico o sanguina spontaneamente è un nevo sospetto. D'altra parte, quando il melanoma compare su una zona di cute indenne, può presentarsi inizialmente come una chiazza piana con lenta estensione in superficie, che mostra tendenza a variare il proprio colore (in particolare, zone più e meno intensamente colorate si ritrovano vicine, in un aspetto policromico), che evoca talvolta una sensazione di prurito o di fastidio e tende a diventare rilevata. Perciò non bisogna trascurare una lesione simile a un nevo, che compaia in un soggetto adulto e tenda ad accrescersi; infatti è molto raro, dopo i trent’anni, osservare la comparsa di nuovi nevi. D’altra parte questa fase iniziale, estensiva, del melanoma può durare anche anni: se riconosciuta, la precoce asportazione chirurgica del melanoma, e per un certo margine di sicurezza anche della cute sana circostante, può risolvere il problema. Se non asportato, il melanoma evolve nella fase invasiva, con comparsa, nel contesto della lesione, di uno o più noduli di colore scuro, talora ricoperti da squamo-croste, facilmente sanguinanti al minimo trauma. La sua malignità evolutiva si estrinseca con l’invasione metastatica delle linfoghiandole regionali e con la diffusione a tutto l’organismo attraverso le vie linfatica e sanguigna. È importante ricordare che in tutte le varianti di melanoma precedentemente descritte, la lesione talora può apparire quasi priva o del tutto priva di pigmento melanico: sono i cosiddetti melanomi amelanotici. 
Diagnosi Va sempre sospettata in presenza delle condizioni segnalate. Oggi è disponibile, nei centri specializzati, la skinview, una nuova tecnica non invasiva che consente la diagnosi già in fase iniziale. Nei casi dubbi, non va mai effettuata una biopsia parziale delle lesioni: queste vanno asportate completamente e ampiamente e devono essere sottoposte a esame istologico. Stabilita la diagnosi, è sempre utile misurare lo spessore in millimetri della lesione, in quanto questo parametro è correlato con la prognosi. Decorso e terapia L'evoluzione è più rapida nelle forme nodulari, meno in quelle acrolentigginose o superficiali, meno ancora nella lentigo maligna. Quando metastatizza, raggiunge preferenzialmente i linfonodi regionali, i polmoni, il fegato, il cervello, le ossa e la cute stessa. È teoricamente possibile anche una regressione spontanea della lesione primaria, ma ciò non esclude il successivo sviluppo di metastasi. Il trattamento, come si diceva, è chirurgico e l'exeresi dev'essere completa, con ampi margini di tessuto sano. I linfonodi regionali vengono asportati in caso di metastatizzazione. Se ci sono metastasi, inoltre, è possibile ottenere qualche risultato con la dimetiltriazenoimidazolcarbossamide (DTIC), con l'interferone alfa (IFN-alfa), con polichemioterapia. Sono in corso protocollo clinici per lo studio della terapia genica del melanoma.

Menopausa

Cessazione definitiva e fisiologicamente irreversibile delle mestruazioni, che avviene generalmente tra i 45 e i 54 anni (se avviene prima dei 45 anni si parla di menopausa precoce), in conseguenza dell'esaurimento funzionale ovarico: come il menarca è il segno più evidente della pubertà, così la menopausa è quello caratteristico del climaterio. Segna la fine del periodo fertile della donna; l’epoca della sua comparsa dipende da fattori individuali, familiari, genetici, razziali e nutrizionali. La menopausa è conseguenza dell’incapacità dei follicoli di maturare e ovulare, e di alterazioni della stimolazione bioritmica diencefalo-ipofisaria. Può manifestarsi in modo brusco e inaspettato, o essere preceduta da un periodo di irregolarità mestruali. In rapporto con la menopausa può comparire una sintomatologia varia (che oggi si tende a minimizzare con terapie ormonali di supporto): fenomeni vasomotori (vampate di calore, cardiopalmo, sudorazioni notturne), neuropsichici (facile irritabilità, oscillazioni dell'umore, depressione modificazioni del carattere, cefalee), problemi vescicali, secchezza vaginale durante i rapporti sessuali e, a lungo andare, osteoporosi e cardiopatie. La terapia estrogenica è basilare nel trattamento dei sintomi ma, per proteggere l'endometrio uterino dal possibile sviluppo di un carcinoma, è necessaria l'aggiunta di progestinici nelle donne che non sono state sottoposte a isterectomia. Resta dubbio l'effetto della stimolazione estrogenica come possibile induttrice di carcinomi della mammella: non v'è infatti consenso unanime su quanti anni di terapia siano necessari per provocare questo effetto neoplastico; per tale motivo, i protocolli attuali di trattamento mantengono un margine di sicurezza. Il beneficio di tale terapia nella prevenzione di eventi cardiovascolari maggiori è stato messo in dubbio da studi recenti, mentre resta efficace per la prevenzione dell'osteoporosi. Le linee guida più aggiornate invitano a essere prudenti nell'uso della terapia ormonale sostitutiva, che è senz'altro utile in caso di disturbi debilitanti, ma in ogni caso dovrebbe essere limitata nel tempo.La menopausa può verificarsi prima del suo tempo fisiologico, in seguito a gravi malattie, per rimozione chirurgica degli organi sessuali o in seguito a radiazioni: in questi casi, e quando le manifestazioni assumono carattere patologico, la terapia ormonale sostitutiva è indispensabile.

Metastasi

Disseminazione di un processo patologico dalla sua sede di sviluppo a un altro organo o all’intero organismo. Può trattarsi del trasporto di microrganismi patogeni (per esempio, streptococchi o micobatteri tubercolari), oppure di cellule, come si verifica nei tumori maligni, la cui capacità di dare metàstasi costituisce una delle peculiari caratteristiche della malignità.
La metastasi tumorale. Lo sviluppo delle metàstasi tumorali rappresenta un evento biologico complesso, legato all’interazione tra fattori propri dell’organismo (condizioni generali, integrità della risposta immunitaria) e caratteristiche specifiche delle cellule tumorali (sede, dimensioni e caratteri istologici). Dal microscopico focolaio iniziale la diffusione delle cellule tumorali avviene dapprima localmente mediante uno sviluppo centrifugo. Liberando enzimi in grado di digerire i tessuti circostanti (proteasi) esse si fanno gradatamente strada attraverso strutture anatomiche e tessuti in grado di offrire scarsa resistenza (il tessuto adiposo, le guaine dei nervi, il midollo osseo). Un primo ostacolo alla diffusione metastatica viene offerto dalla presenza di strutture anatomiche relativamente impenetrabili, quali la capsula degli organi, la cartilagine o il periostio, le meningi. Quando le cellule tumorali incontrano un vaso sanguigno o linfatico, possono arrivare a distruggerne la parete e penetrare all’interno della corrente sanguigna o linfatica, dove i trombi metastatici guadagnano la possibilità di entrare in circolo. L’invasione dei capillari linfatici a contatto del tumore è tipica dei carcinomi. La disseminazione metastatica
Nel sistema linfatico le cellule tumorali possono essere distrutte dalle difese immunitarie localizzate nelle stazioni linfonodali. Se ciò non avviene, il tumore può invadere il linfonodo e continuare l’invasione linfatica o entrare nella circolazione sanguigna attraverso le numerose comunicazioni esistenti fra i due sistemi. La disseminazione per via ematica può avvenire anche per penetrazione diretta delle cellule tumorali nei capillari sanguigni. Una volta in circolo esse devono sopravvivere all’ambiente circostante e un ulteriore fattore di selezione è rappresentato anche qui dai meccanismi di difesa immunitaria circolanti (linfociti T, granulociti e monociti). Per le cellule sopravvissute si offre la possibilità di arrestarsi in organi distanti dal sito di origine: sedi possibili e probabilità di successo dipendono anche in questo caso da numerose variabili. La distribuzione dei focolai metastatici non avviene infatti casualmente: ogni tumore ha sedi preferenziali. Il fegato rappresenta un organo bersaglio per i tumori del colon-retto; le ossa per quelli della prostata e della mammella; i polmoni per i tumori del testicolo, dell’osso e della mammella. I polmoni (come anche il fegato), data la funzione di filtro e lo sviluppo notevole di una rete capillare, sono suscettibili di ricevere metàstasi pressoché da ogni organo e di inviare altresì colonie tumorali, con particolare predilezione per il cervello e le ossa. L’attecchimento di una metàstasi per via circolatoria dipende anche in questo caso da vari fattori, per esempio, caratteristiche proprie alle cellule tumorali; rallentata circolazione in alcuni distretti corporei; entità dei meccanismi difensivi immunitari. Una forma particolare di metàstasi è rappresentata dalla disseminazione detta “per sgocciolamento”, che si verifica in cavità virtuali, come il peritoneo, dove le cellule possono impiantarsi a partire da un organo intraddominale (come l’ovaio) o essere trasportate da un organo all’altro (è il caso, peraltro raro, di metàstasi all’ovaio provenienti da tumori dello stomaco). La presenza di metàstasi pone precisi limiti all’intervento terapeutico: nella maggior parte dei casi il riconoscimento di una malattia disseminata impone l’attuazione di una strategia sistemica di terapia, perlopiù con il ricorso alla chemioterapia.

Miometrio

Tunica muscolare dell’utero formata da fasci di fibrocellule muscolari lisce strategicamente disposte a costituire una robusta parete. Queste fibre muscolari sono capaci di una grande distensione e aumentano di numero in corso di gravidanza per contenere il feto in via di sviluppo. Durante il travaglio, le fibre muscolari oltre a contrarsi si retraggono: questo porta all'accorciamento e alla dilatazione della cervice e infine alla espulsione del feto.

Mucosa

Membrana di rivestimento della superficie interna di organi cavi e di canali dell’organismo comunicanti con l’esterno direttamente o indirettamente (per esempio, le vie respiratorie, il tubo gastrointestinale, le vie urinarie, l’apparato genitale, l’orecchio medio ecc.). In corrispondenza delle aperture naturali verso l’esterno (bocca, narici, vagina, orifizio uretrale ecc.) la mucosa si continua con l’epidermide, mediante una porzione di transizione caratterizzata da una struttura intermedia fra mucosa e cute. La mucosa è formata da un tessuto delicato, elastico, dal colorito grigio-roseo, mantenuto sempre umido dal secreto di ghiandole contenute nel suo spessore o direttamente prodotte dall’epitelio ghiandolare che la costituisce. Pur con certe differenze tipiche dei singoli apparati, le mucose sono essenzialmente costituite da un epitelio che tappezza la cavità dell’organo o il lume del canale e, più profondamente, da uno strato di tessuto connettivale fibrillare (tonaca propria o derma della mucosa), che ha funzioni di sostegno e può essere ricco di fibre elastiche e di linfociti. La superficie di contatto tra epitelio e connettivo può a volte essere piana, a volte invece accidentata per la presenza di papille nella tonaca che penetrano nell’epitelio stesso.

 

N

Neo

Sinonimo di nevo.

Neoadiuvante

Trattamento chemioterapico o radioterapico che rende più efficace un successivo intervento chirurgico.

Nevo

Malformazione cutanea dovuta ad anomalie di sviluppo di vari componenti della cute e dei suoi annessi. Propriamente, si tratta di amartomi - cioè di alterazioni circoscritte dello sviluppo embrionario - della cute. I nevi possono essere presenti alla nascita o comparire più tardivamente. Si tratta di lesioni circoscritte, di forma e dimensioni variabili, piane o rilevate, pigmentate o no. Si comprendono sotto la denominazione di nevo formazioni assai diverse tra loro: fondamentalmente, si distinguono gli amartomi organici od organoidi (i nevi epidermici o verrucosi, annessiali, connettivali, lipomatosi e vascolari, detti anche angiomi) e i nevi nevocellulari. Al primo gruppo appartengono nevi che sono espressione di una alterazione quantitativa dei normali costituenti del tessuto in cui si sviluppano (amartomi organici) oppure di una alterazione quantitativa e qualitativa, nel senso che gli elementi costituenti sono anche immaturi e, come tali, suscettibili di sviluppo tumorale successivo (amartomi organoidi). I nevi nevocellulari, invece, sono veri e propri tumori benigni dei melanociti e/o delle cellule neviche (melanociti che hanno perso i dendriti e possono essere del tutto privi di pigmento melanico). Si presentano generalmente come macchie di colore dal bruno al nero o come noduli di aspetto variabile; tra quelli congeniti, si descrivono le macchie mongoliche (piane, grigio-bluastre, più frequenti nelle razze orientali) e i nevi nevocellulari comuni (dal bruno al nero, piani, da piccoli - diametro inferiore ad 1,5 cm - a giganti - che ricoprono interi distretti corporei ed hanno elevato tasso di trasformazione maligna); tra quelli acquisiti, ricordiamo i nevi blu (piccoli, piani, nero-bluastri), le lentiggini (attenzione alla sindrome di Peutz-Jeghers!), i nevi nevocellulari tuberosi (di aspetto assai variabile), il nevo di Spitz (eritematoso, al volto), il nevo di Reed (variante del precedente) e quello di Clark (con aspetto a uovo fritto, per la presenza di una zona centrale più scura e rilevata). Non esistono criteri assoluti per differenziare i nevi nevocellulari dal melanoma: dimensioni inferiori al centimetro, limiti periferici netti, uniformità del colore e assenza di desquamazione, di fenomeni infiammatori e di disturbi soggettivi sono elementi in linea di massima a favore della natura nevica di una lesione. Oggi è disponibile un esame specifico per la diagnosi differenziale delle formazioni neviche, lo skinview. Nei casi dubbi, tuttavia, è indispensabile l'esame istologico: il nevo va in ogni caso biopsiato asportandolo tutto e con un buon margine di tessuto sano intorno. I nevi nevocellulari congeniti sono statisticamente più soggetti a trasformazione maligna. Ricordiamo infine che è anche possibile che le formazioni più piccole nell'età avanzata scompaiano.

 

O

Ormoni

Sostanze liberate nel sangue dalle ghiandole endocrine che le sintetizzano, capaci di essere attive a dosi minime e di esercitare specifici effetti su organi cosiddetti bersaglio.
Ormoni endocrini e ormoni tessutali. Accanto alle ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide, paratiroidi, ghiandole surrenali, pancreas, gonadi, epifisi e timo), esistono sistemi cellulari preposti alla sintesi di sostanze ormonali dette ormoni tessutali o istio-ormoni. Come esempi di istio-ormoni si possono ricordare la colecistochinina e la secretina, elaborate a livello della mucosa intestinale. In base alla struttura chimica si distinguono tre categorie di ormoni: ormoni di tipo fenolico, come gli ormoni della tiroide e quelli prodotti dalla midollare del surrene (adrenalina e noradrenalina); ormoni di struttura proteica, comprendenti l’insulina, il glucagone, gli ormoni dell’ipofisi, la somatostatina, il paratormone, la calcitonina, la gastrina; ormoni steroidei, che comprendono i prodotti della corteccia surrenale (corticosteroidi) e gli ormoni sessuali elaborati dal testicolo, dall’ovaio, nonché dalla placenta durante la gravidanza. La sintesi degli ormoni: Nelle cellule delle ghiandole endocrine la sintesi degli ormoni avviene a partire da precursori che sono prodotti ordinari del metabolismo intermedio (proteine, aminoacidi, colesterolo ecc.), grazie all’attività di sistemi enzimatici che sono presenti solo nelle cellule della ghiandola endocrina specifica. Il processo di sintesi è controllato da fattori di tipo nervoso e umorale. Si trovano sotto il diretto controllo del sistema nervoso: la porzione midollare del surrene, la quale secerne catecolamine (adrenalina e noradrenalina) per effetto di impulsi che giungono dai centri ipotalamici e dal midollo allungato attraverso le fibre del nervo splancnico; l’ipofisi posteriore o neuroipofisi, che secerne l’ossitocina e la vasopressina elaborate da cellule nervose dell’ipotalamo e trasportate alla neuroipofisi lungo gli assoni. Sono regolate invece per via umorale le sintesi dell’insulina e del glucagone (dal livello ematico del glucosio) e quella del paratormone (dalla calcemia). La porzione anteriore dell’ipofisi controlla la funzione endocrina della tiroide mediante la secrezione di tireotropina o TSH, quella delle gonadi mediante la secrezione delle gonadotropine e quella della corteccia surrenale mediante la secrezione di corticotropina o ACTH. Tra i corticosteroidi fa eccezione l’aldosterone, la cui secrezione è regolata in massima parte dal sistema renina-angiotensina e solo in minima parte dalla corticotropina. La secrezione delle tropine ipofisarie è regolata in parte da fattori nervosi (ipotalamo, corteccia cerebrale, sistema limbico, formazione reticolare), in parte per via umorale: il fattore di regolazione umorale è rappresentato dal tasso ematico degli ormoni secreti dalle ghiandole che sono sotto il controllo delle stesse tropine ipofisarie. Tale processo di controllo, detto “inibizione retrograda o meccanismo a feed-back negativo”, realizza un importante sistema di autoregolazione: quando i livelli dell’ormone circolante diminuiscono, la ghiandola endocrina accentua la sua attività di sintesi fino a ripristinare la normale concentrazione dell’ormone nel sangue; al contrario, se il tasso ematico dell’ormone aumenta, la sua sintesi ghiandolare viene repressa. Il processo di autoregolazione a feed-back avviene sia direttamente, sia indirettamente tramite fattori stimolanti (Releasing Factors, RF) o inibenti (Inhibiting Factors, IF) prodotti da cellule nervose situate nell’ipotalamo. Meccanismo d’azione degli ormoni. La funzione degli ormoni è di regolare i processi biologici che si svolgono in tutti gli organi e i tessuti. Le cellule possiedono già in sé i meccanismi intrinseci di regolazione delle proprie funzioni; il controllo ormonale si sovrappone alla regolazione locale, modulandola in accordo con le esigenze dell’economia generale dell’organismo. L’azione degli ormoni può essere rapida, cioè con effetto immediato (come nel caso dell’adrenalina, della noradrenalina e degli ormoni post-ipofisari), o lenta, con un periodo di latenza di diverse ore o anche di giorni. Si parla di azione diretta quando l’ormone agisce direttamente sull’organo bersaglio (per esempio, nel caso degli androgeni e degli estrogeni sugli organi genitali); di azione indiretta quando l’ormone agisce mediante un’altra ghiandola che produce ormoni ad azione diretta (per esempio, le gonadotropine ipofisarie che stimolano l’ovaio a produrre estrogeni); si parla infine di azione condizionata se l’ormone agisce direttamente sull’organo bersaglio, ma il suo effetto dipende allo stato in cui si trovano le cellule stimolate. Ormoni sintetici La maggior parte degli ormoni è oggi ottenibile per sintesi. La sintesi degli ormoni ha permesso di conoscere a fondo la loro funzione attraverso l’esame dei loro effetti nell’animale di laboratorio, sia in condizioni ordinarie sia dopo ablazione delle ghiandole endocrine corrispondenti. Inoltre, mediante modificazioni apportate nella struttura di alcuni ormoni naturali, sono state ottenute sostanze di grande interesse pratico, perché dotate di uguali effetti ma con azione più potente di quella degli ormoni naturali, oppure provviste di effetti nuovi. Si possono citare come esempi i farmaci antiinfiammatori steroidei, gli anabolizzanti derivati del testosterone, gli analoghi a lunga emivita della somatostatina, i contraccettivi orali.

Ovaio

Ghiandola femminile pari e simmetrica che produce le cellule riproduttive, le uova e due ormoni (estrogeni e progesterone) organo pari dell’apparato genitale femminile in cui si formano le cellule riproduttrici femminili. L’ovaio è un organo ghiandolare che, sotto la stimolazione degli ormoni ipofisari, elabora gli estrogeni e il progesterone che, con la loro azione alternativa, regolano le varie fasi del ciclo mestruale. Le due ovaie sono situate nella cavità pelvica e hanno forma simile a una grossa mandorla, rugosa nella donna adulta (perché costellata di cicatrici dovute alla fuoriuscita dei follicoli ovarici e alla formazione dei corpi lutei), liscia in età prepubere, con dimensioni variabili secondo l’età e il periodo fisiologico. Alla nascita, nell’ovaio sono presenti alcune centinaia di migliaia di follicoli che sin dai primi giorni di vita incominciano a regredire tanto che alla pubertà ne restano circa 5-7000; solo una parte di questi andrà a maturazione

 

P

Papilloma

Formazione patologica dell’epitelio della cute e (più frequentemente) delle mucose, costituita da proliferazioni epiteliali ramificate o lobulate, sostenute da uno stroma connettivale, nel quale scorrono i vasi sanguigni. Si localizza di preferenza nella vescica e nella laringe. Trae origine dall’azione di cause irritanti lievi ma di lunga durata o da supposte infezioni virali, ma può essere anche di natura tumorale, generalmente benigna. Il papilloma vescicale assume spesso molteplici sedi nella mucosa vescicale e anche nel bacinetto, negli ureteri e nell’uretra. Il papilloma laringeo s’insedia di solito nelle corde vocali. Una frequente complicazione del papilloma è l’emorragia per il distacco o la rottura di papille.

Pap-test (o test di Papanicolau)

Esame microscopio delle cellule della vagina e dell’utero raccolti con uno striscio vaginale per la diagnosi precoce e per l’identificazione dei soggetti a rischio di carcinoma uterino. Nel corso di una visita ginecologica, il secreto vaginale, contenente cellule desquamate dalle pareti della vagina e dalla cervice, viene raccolto con una spatolina e strisciato su un vetrino (striscio vaginale); viene poi colorato con ematossilina e fissato in alcol. La lettura del vetrino permette di valutare lo stato delle cellule e individuare così l’eventuale esistenza di stati cancerosi e pre-cancerosi con una certezza del 95% nel caso del cancro della cervice uterina; il carcinoma dell’endometrio può invece essere evidenziato solo nel 50% circa dei casi. Lo stato delle cellule determina quadri citologici che per convenzione sono stati classificati in 5 tipi, dallo striscio normale (classe I) a quello canceroso con un gran numero di cellule atipiche (classe V). È consigliabile per tutte le donne sottoporsi a questo esame una volta all’anno.

Prognosi

Preventiva valutazione della durata e della gravità del decorso clinico di una malattia con la previsione dei possibili esiti. In rapporto alla durata della malattia la prògnosi si esprime in giorni, mesi, anni; in rapporto alla gravità viene definita infausta quando si prevede la morte e favorevole in caso contrario. Esistono poi anche i gradi intermedi: la prògnosi può essere allora definita incerta o dubbia. La prògnosi viene talora espressa “con riserva” (prògnosi riservata) per contemplare la possibilità che si verifichino avvenimenti imprevedibili e devianti dalla norma, che possono modificarla sino a invertirla completamente.

Prostata

Ghiandola presente solo nel maschio, situata nel bacino, dietro la sinfisi pubica e davanti al retto. È attraversata dall’alto verso il basso dalla prima porzione dell’uretra (uretra prostatica), nella quale viene riversato il liquido prostatico prodotto dalla stessa prostata. La prostata, molto piccola nel bambino, comincia ad accrescersi durante la pubertà, raggiungendo nell’età matura 4 cm di larghezza, 3 cm di altezza e 2,5 cm di spessore. La faccia superiore della prostata, o base, è quella che presenta il punto di penetrazione dell’uretra, mentre posteriormente presenta una doccia trasversale detta ilo, in cui penetrano i dotti eiaculatori. La superficie compresa tra l’imboccatura dell’uretra e l’ilo corrisponde al cosiddetto lobo medio, che può andare incontro ad aumento di volume nell’anziano. Nel suo complesso la prostata è contenuta in una membrana fibrosa, detta loggia prostatica, ed è formata da circa trenta unità ghiandolari, ciascuna fornita di un dotto escretore che si apre nell’uretra prostatica. La prostata è suddivisa in un lobo anteriore, un lobo medio e due laterali. Il lobo anteriore, situato davanti all’uretra, è piccolo e costituito da poche ghiandole; il lobo medio, tra l’uretra e i dotti eiaculatori, è talvolta sprovvisto di ghiandole, mentre più voluminosi e ricchi di ghiandole sono i lobi laterali, situati dietro ai dotti eiaculatori. Il liquido prostatico è opalescente, leggermente acido, molto ricco di enzimi e di acido citrico, il quale probabilmente stimola la motilità degli spermatozoi. Durante l’eiaculazione, il liquido prostatico si riversa nell’uretra, combinandosi alle secrezioni del testicolo e delle vescichette seminali.

Protesi

Dispositivo usato per sostituire almeno parzialmente una porzione del corpo umano che non sia più in grado di operare correttamente. Le varie pròtesi realizzabili si possono raggruppare secondo il tipo di funzione che esse compiono in ausilio o in sostituzione di organi la cui funzione è compromessa o perduta. Anzitutto, le pròtesi possono essere esterne o interne: le prime sono permanenti quando vengono impiantate sul corpo o comunque vengono utilizzate in continuità (per esempio, le pròtesi sensoriali, gli arti artificiali), oppure temporanee quando sostituiscono la funzione di un organo per un periodo di tempo più o meno breve; le pròtesi interne, generalmente permanenti, sono passive quando sostituiscono una parte di tessuto (per esempio, vene) o servono a rafforzare una struttura anatomica (per esempio, chiodi o graffe inseriti in ossa fratturate), oppure attive, quando sostituiscono o aiutano la funzionalità di un organo (per esempio, cuore artificiale). Le pròtesi più diffusamente impiegate sono quelle sensoriali, ortopediche e ortodontiche. Le pròtesi esterne temporanee sono dispositivi di diverso genere con funzioni per lo più terapeutiche o legate a particolari momenti degli atti chirurgici. Le pròtesi interne passive sono costituite da materiali di sostituzione dei tessuti naturali; vi sono ossa artificiali, vasi artificiali e valvole cardiache artificiali. Le pròtesi interne attive sono quelle di concezione e di realizzazione più complesse in quanto assommano i problemi sia di tollerabilità dei materiali sia di autonomia di funzionamento; in linea di principio devono infatti soddisfare i seguenti principali requisiti: compatibilità biologica, assenza di danneggiamenti a carico dell’organismo, rumorosità contenuta, indipendenza del funzionamento dalla direzione dell’accelerazione di gravità, affidabilità di funzionamento elevata, costi contenuti di costruzione e di inserimento nell’organismo, rispondenza morfologica, se occorre, all’organo sostituito. Non tutti i materiali (metalli, materie plastiche, gomme naturali ecc.) possono essere messi a contatto con i tessuti dell’organismo; le pròtesi che maggiormente richiedono una scelta accurata dei materiali biocompatibili sono quelle cardiovascolari. E' in corso di realizzazione la protesi "intelligente", capace di curare i focolai di infiammazione di origine batterica che rappresentano un rischio importante di rigetto. Un nuovo sistema biomeccanico, chiamato microelectronic mechanical system (MEMS) da aggiungere alla protesi, è in grado di rilevare i segnali che i batteri si scambiano per moltiplicarsi. Le speranze attorno a questo nuovo ritrovato sono naturalmente notevoli.

PSA, antigene prostata-specifico

Proteina prodotta sia dall’epitelio prostatico normale sia da quello tumorale. La sua concentrazione aumenta in caso di tumore della prostata e viene sempre più usata sia in clinica sia negli screening preventivi. da notare che un aumento del PSA può essere dovuto a una recente esplorazione rettale e manifestarsi nei portatori di catetere vescicale. I valori normali di PSA sono inferiori a 4 ng/ml, fra 4 e 10 ng si tratta di valori da ricontrollare, mentre sopra i 10 ng è necessario un approfondimento diagnostico.

 

Q

Quadrantectomia

Asportazione del quadrante della mammella in cui ha sede un carcinoma. Viene preferita alla mastectomia segmentale in caso di dimensioni ridotte e circoscrivibili del tumore, per la minor lesività a parità di efficacia.

 

R

Radiografia

Tecnica fotografica basata sulle proprietà di penetrazione dei raggi X, che permette di ottenere immagini permanenti della struttura interna di un oggetto. Rappresenta il principale mezzo della radiodiagnostica, in quanto consente lo studio e l’esame dei vari organi e apparati del corpo umano tramite le loro immagini. Gli esami radiografici vengono eseguiti con due diversi metodi: si ha l’esame diretto quando un organo è esaminato nelle sue condizioni naturali di radiotrasparenza, mentre si parla di esame con mezzi di contrasto artificiale quando le condizioni di radiotrasparenza dell’organo vengono appositamente modificate per poter raggiungere rilievi che non apparirebbero evidenti al solo esame diretto. Esempi di esami effettuati col primo metodo sono le radiografìe dello scheletro (in quanto le ossa, ricche di calcio, assorbono la radiazione apparendo di colore bianco sulla pellicola) e del torace (nel quale i polmoni, pieni d’aria, permettono il passaggio dei raggi e appaiono oscuri nel radiogramma). Per la maggior parte degli organi, però, si ricorre ai mezzi di contrasto, che possono essere opachi o trasparenti. Tra i mezzi di contrasto opachi i più utilizzati sono il solfato di bario, che rappresenta il mezzo di contrasto per eccellenza dell’apparato digerente (vedi pasto opaco), e i preparati organici iodati idrosolubili, immessi per via orale o per iniezione, che rendono opache la bile e l’urina, permettendo di evidenziare i canali e le cavità in cui questi secreti scorrono e si raccolgono; preparati analoghi sono usati anche per le esplorazioni dell’apparato cardiovascolare, dei bronchi e degli organi genitali. I mezzi di contrasto trasparenti sono essenzialmente ossigeno e azoto e sono utilizzati per l’esame dei vari organi intramediastinici, dei ventricoli cerebrali, del midollo spinale ecc.

Radioterapia

Tecnica che sfrutta l’azione biologica delle radiazioni ionizzanti a scopo terapeutico. I mezzi terapeutici utilizzati come fonte di radiazioni, si distinguono in tradizionali e recenti. Quelli tradizionali sono gli apparecchi per roentgenterapia, dai quali si ottengono fasci di raggi X, utilizzati per irradiare dall’esterno il focolaio morboso; oppure sostanze radioattive naturali (preparati stabili di radio o labili di radon) adoperate per irradiare non solo dall’esterno ma anche dall’interno, mediante introduzione in cavità o infissione nel tessuto malato (curieterapia). I mezzi radioterapici più recenti invece consentono l’impiego di radiazioni di elevata energia, prodotte da radioisotopi (isotopoterapia): la bomba al cobalto, per esempio, è usata nella terapia profonda dei tumori in quanto sorgente di raggi gamma; essa presenta, rispetto al radio, il vantaggio di penetrare in profondità e di danneggiare solo minimamente i tessuti superficiali. L’isotopoterapia può essere esterna o interna: quella esterna riguarda trattamenti con sorgenti situate fuori dall’organismo o nel suo interno, ma a condizione che possano essere rimosse senza contaminazione (equivale sostanzialmente alla curieterapia); quella interna si avvale di sorgenti immesse liberamente nei sistemi metabolici dell’organismo mediante inalazione, ingestione, iniezione endovenosa ecc., con conseguente loro distribuzione nei tessuti secondo i processi del ricambio fisiopatologico, fuori dal diretto controllo dell’operatore.

Recettore

Struttura atta a ricevere segnali o stimoli e a produrre una risposta biologica a essi. Ci sono recettori sensoriali, strutture nervose unicellulari o pluricellulari, distinti, a seconda della provenienza e della natura dello stimolo, in: esterocettori, enterocettori, propriocettori, recettori di senso specifici; ma vi sono anche recettori cellulari (vedi le comunicazioni all’interno dell’organismo).

Recidiva

Comparsa di una malattia in chi già ne era stato colpito e ne era guarito (vedi anche ricaduta).

Ricaduta

Ricomparsa dei sintomi di una malattia quando ormai pareva prossima la guarigione (vedi anche recidiva).

Risonanza magnetica nucleare (o RMN)

Tecnica diagnostica che frutta gli effetti di un campo magnetico di elevata intensità. Le forze generate dal campo inducono temporanee alterazioni della disposizione dei componenti atomici della materia sottoposta a tale campo. A seconda della natura dei diversi atomi cambia l’emissione di segnali elettromagnetici emessi e registrabili da apposite apparecchiature. I segnali captati vengono elaborati analogamente a quanto accade nel corso della TAC, rispetto alla quale la RMN permette risultati più precisi, specie per i tessuti situati più in profondità. La RMN pare del tutto innocua, non impiegando radiazioni ionizzanti, ma si sta vagliando la possibilità di danno indotto da campi magnetici. Per ora sono conosciute solo le interferenze che il campo magnetico ha con le protesi metalliche e con l’apparecchiatura del pace-maker.

 

S

Scintigrafia

Tecnica radiologica che consente la visualizzazione di immagini dovute alla registrazione dell’emissione di radiazioni gamma da parte dei tessuti o degli organi di un soggetto a cui in precedenza è stato somministrato un isotopo radioattivo (per esempio, iodio 131 per l’indagine sulla tiroide). È impiegata per la diagnosi di localizzazione di malattie e tumori (per esempio, scintigrafìa ossea) e di attività funzionali di organi (per esempio, scintigrafìa della tiroide).

Screening

Termine inglese che in epidemiologia definisce un test di massa per identificare precocemente (all’interno di una popolazione o di un gruppo di soggetti a rischio) i portatori di una malattia o di un’anomalia. Lo screening offre l’opportunità di evidenziare sia eventuali segnali precoci di una malattia già presente ma non ancora sintomatica, sia la presenza di fattori di rischio relativi a una specifica patologia. Lo scopo primario è quello di effettuare una terapia precoce verso una patologia ancora nascosta e, in secondo luogo, di agire sui fattori di rischio individuati dal test di screening, riducendo la probabilità di insorgenza della patologia (per esempio, individuazione dei soggetti ipertesi, al fine di ridurre il rischio di infarto del miocardio). Tuttavia prima di adottare uno screening di massa occorre essere certi che lo screening stesso non comporti rischi. Infatti è noto che uno screening può essere nocivo. Nel senso che, poichè l'obiettivo di uno screening è quello di dilazionare la morte, questo non può realizzarsi se non con una diagnosi precoce, e quindi una terapia altrettanto precoce: terapia che può peggiorare la qualità di vita se si rendono necessarie cure debilitanti o mutilazioni. Uno screening porta alla luce anche tumori benigni, ad esempio, o tumori maligni che forse non si sarebbero mai evidenziati clinicamente (è questo il caso di molti tumori della prostata). Bisogna pertanto comprendere che per ogni screening c'è sempre un prezzo da pagare.

Scroto

Sacca muscolomembranosa che contiene i due testicoli e il primo tratto dei funicoli spermatici. È situato nel perineo anteriore immediatamente sotto il pene, a cui è collegato, e ha dimensioni variabili non solo individuali, ma nello stesso individuo secondo lo stato di rilasciamento o di contrazione dei tessuti che lo compongono. Lo scroto è divisibile in due parti, dette emiscroti, da un setto connettivale (setto scrotale), che appare alla superficie sulla linea mediana.

Sintomatologia

Complesso dei sintomi di una malattia; costituisce l’oggetto di studio della semeiotica.

Sintomo

Manifestazione, avvertita soggettivamente, di un evento patologico dell’organismo. Per estensione, il termine sìntomo è usato anche per indicare gli elementi obiettivi rilevati dal medico, che più propriamente dovrebbero essere chiamati segni. Il dolore e la vertigine sono sìntomi, mentre un riflesso osteotendineo accentuato è un segno. Ai fini diagnostici i sìntomi vengono distinti in patognomonici se sono importanti e caratteristici di una determinata malattia, accessori nel caso contrario.

Sistema immunitario

Complesso sistema in grado di garantire all'organismo umano, mediante la produzione di anticorpi specifici e altri sofisticati meccanismi, l'immunità, cioè un'efficace difesa contro l'aggressione da parte di microrganismi patogeni o da parte di altre sostanze estranee. Il sistema immunitario, in parte innato e in parte adattativo, svolge una funzione essenziale nella difesa contro le malattie infettive e più in generale nell'azione di conservazione dell'integrità dell'organismo.

Spinalioma

Vedi epitelioma.

 

T

Testicolo

Organo che produce gli spermatozoi, cellule fecondanti maschili. È un corpo ovalare o rotondeggiante di consistenza molle ed elastica. I due testicoli sono contenuti nello scroto, dove discendono dall’addome durante le ultime fasi dello sviluppo fetale, sospesi al funicolo spermatico. Ogni testìcolo è rivestito da una guaina fibrosa, la tunica albuginea, da cui prendono origine sottili sepimenti connettivali che convergono verso un addensamento di tessuto connettivale (corpo di Higmore), suddividendo il parenchima testicolare in circa 250 lobuli di forma conica. Ciascuno di questi ultimi contiene 1-3 sottili tubuli seminiferi a matassa che danno origine ai tubuli seminiferi retti, i quali anastomizzandosi con quelli degli altri lobuli formano una maglia irregolare (rete testis), da cui derivano i condottini efferenti e un canale di maggiori dimensioni che si raggomitola su sé stesso formando l’epididimo, da cui si diparte il condotto deferente. Tra i tubuli seminiferi, in cui avvengono i processi della spermatogenesi, si trovano masserelle di cellule interstiziali, o di Leydig, che producono ormoni, regolatori della comparsa dei caratteri sessuali secondari e dell’attività sessuale (testosterone).

Testosterone

Il principale e più attivo ormone androgeno. Nell’uomo è prodotto in massima parte dalle cellule di Leydig del testicolo e, per il resto, dal corticosurrene; anche nella donna è presente, ma come prodotto intermedio nella sintesi degli estrogeni.

Tomografia assiale computerizzata (o TAC)

Tecnica radiodiagnostica che consente, mediante l’intervento di un elaboratore elettronico opportunamente programmato, di ottenere immagini radiologiche relative a sottili strati (di spessore inferiore a 1 cm) delle strutture corporee indagate, ricavate secondo piani assiali (cioè trasversali rispetto all’asse corporeo maggiore). Le radiazioni emergenti dal corpo sottoposto alle radiazioni ionizzanti vengano trasformate in impulsi elettrici e quindi elaborate permettendo la ricostruzione dell’immagine con il riconoscimento di differenze di densità anche minime tra i vari punti. L’immagine così ricavata rappresenta una sezione trasversale del corpo ed è costituita da tanti punti, ciascuno dei quali presenta una diversa tonalità di grigio cui corrisponde un differente valore di densità, espresso numericamente attraverso una scala compresa tra i valori di –1000 (per la densità dell’aria) e +1000 (per quella del tessuto osseo). È possibile ricavare immagini radiologiche molto ricche dal punto di vista morfologico e quindi informazioni obiettive circa la densità delle strutture studiate, e inoltre ricostruire spazialmente le immagini relative ai singoli piani, ottenendo immagini tridimensionali e superando in tal modo uno dei limiti principali della radiologia tradizionale. Le apparecchiature TAC della prima generazione erano utilizzabili solo per lo studio dell’encefalo, perché i lunghi tempi di esposizione necessari per l’acquisizione dei dati ne impedivano l’uso per organi in movimento (per esempio, gli organi delle cavità toracica e addominale). I successivi perfezionamenti tecnologici hanno portato alla realizzazione di apparecchiature utilizzabili per lo studio, non solo morfologico ma anche funzionale, di quasi tutte le strutture corporee, anche di quelle, come per esempio, il pancreas una delle metodiche d’indagine principali nello studio del sistema nervoso centrale, dell’encefalo ie della colonna vertebrale, soprattutto per quanto riguarda la patologia traumatica, tumorale e vascolare.

Tumore, cancro, carcinoma (o neoplasia)

Neoformazione di tessuto costituito da cellule atipiche modificate rispetto alle normali. La malattia tumorale presenta almeno tre caratteristiche che la definiscono: clonalità (nella maggior parte dei casi, il tumore prende origine da una singola cellula mutata, che prolifera fino a formare un clone di cellule neoplastiche); anaplasia (mancanza della normale differenziazione cellulare); autonomia (la crescita è completamente svincolata dai meccanismi di regolazione che operano nell’organismo normale). I tumori vengono distinti in benigni o maligni, a seconda delle caratteristiche biologiche e morfologiche che ne determinano la maggiore o minore aggressività. È benigno ogni tumore che non mette in pericolo la vita; che si accresce lentamente per espansione (e non per invasione e infiltrazione dei tessuti circostanti); che è delimitato da una capsula fibrosa; che non dà metastasi (cioè le sue cellule non proliferano in modo selvaggio diffondendosi a distanza) e resta nella sede di origine; che può essere asportato chirurgicamente, con guarigione completa del paziente. Viceversa le caratteristiche fondamentali del tumore maligno (spesso chiamato genericamente cancro) sono la rapida proliferazione di cellule; la mancanza di una capsula fibrosa; l’accrescimento invasivo con infiltrazione progressiva dei tessuti e degli organi circostanti; la capacità di dare origine a localizzazioni secondarie (metastasi), lontane dalla sede primitiva d’insorgenza del tumore.

 

U

Uretra

Porzione terminale delle vie urinarie che convoglia l’urina dalla vescica all’esterno. Presenta profonde differenze nei due sessi. Nella donna mette in comunicazione la vescica urinaria con il vestibolo della vagina, dove si apre il meato uretrale, ed è lunga circa 3 cm. Nell’uomo si estende dal collo della vescica all’estremità libera del pene e veicola anche lo sperma; è lunga circa 16 cm e può essere divisa in tre segmenti: prostatico (circondato dalla prostata), membranoso intermedio (che attraversa il piano perineale), cavernoso o penieno (che corre nel pene); sbocca all’esterno con il meato uretrale, sull’apice del glande. È provvista di numerose ghiandole, tra cui le bulbo-uretrali (o di Cowper) e quelle prostatiche; vi sboccano i dotti eiaculatori.

Urografia

Metodo di indagine radiologica dell’apparato urinario. Viene eseguita iniettando per via endovenosa una sostanza opaca ai raggi X, che viene elettivamente eliminata dai reni con l’urina. Grazie a questo mezzo di contrasto è possibile evidenziare i reni, i calici renali, gli ureteri e la vescica. L’urografìa è indicata in tutte le malattie dell’apparato urinario: infatti fornisce informazioni non solo su eventuali alterazioni della loro struttura (restringimenti delle vie urinarie, calcoli ecc.), ma anche sulla funzione di filtrazione dei reni. Poiché l’introduzione del mezzo di contrasto può dare, in vari casi, reazioni di ipersensibilità anche gravi, è un’indagine da eseguirsi solo se indispensabile e insostituibile per la diagnosi e per la scelta della terapia.

Utero

Organo cavo dell’apparato genitale femminile, situato nella piccola pelvi, tra la vescica, anteriormente, e il retto, posteriormente. Nella donna adulta, al difuori dello stato di gravidanza, ha forma tronco-conica, con la base in alto e l’apice in basso, sensibilmente appiattita in senso dorso-ventrale.

 

V

Vagina

Condotto muscolomembranoso che costituisce l’ultimo tratto del canale genitale femminile, a partire dall’utero al vestibolo della vagina che si apre sui genitali esterni. Si interpone tra la vescica e l’uretra e il retto collocato posteriormente. Ha forma cilindrica un po’ appiattita e si presenta come una cavità virtuale poiché le sue pareti combaciano, e ha una lunghezza di circa 7-12 cm e una larghezza di 2,5-3 cm: durante il rapporto sessuale le sue dimensioni si modificano, per adattarsi al pene. A livello dell’estremo anteriore, che si apre nella vulva, si trova l’imene, la membrana virginale; nell’estremo posteriore la parete della vagina si riflette, avvolgente, attorno al collo dell’vagina a formare delle pieghe circolari: i fornici vaginali. Le pareti sono costituite da uno strato mucoso, da uno muscolare e da uno connettivo. In condizioni normali nella vagina è presente una flora batterica saprofita, non patogena; il pH è leggermente acido. La vagina è l’organo che riceve lo sperma al momento dell’accoppiamento; inoltre, dà anche passaggio al flusso mestruale e al feto con i suoi annessi al momento del parto.

Vescica

Qualsiasi ricettacolo di liquidi. Vescica urinaria è quella in cui gli ureteri versano il liquido residuo dell’attività renale organo muscolo-membranoso, destinato a raccogliere l’urina convogliata dagli ureteri e a trattenerla fino a quando, sotto lo stimolo della minzione, le sue pareti si contraggono per espellerla attraverso l’uretra. È situata in posizione mediana, nel piccolo bacino, in sede extraperitoneale, sotto la sinfisi pubica; nell’uomo ha rapporto inferiormente con la prostata e le vescicole seminali e, posteriormente, con il retto; nella donna ha relazione con l’utero e la vagina. Le sue pareti risultano costituite da tre tuniche sovrapposte, che dall’esterno all’interno sono una sierosa, una muscolare e una mucosa. La regione della vescica urinaria in cui si trova l’orifizio d’inizio dell’uretra, attraverso cui l’urina viene emessa, è detta collo vescicale: ivi si trovano fibre muscolari lisce (sfintere vescicale), che regolano la ritenzione e l’emissione dell’urina. La capacità della vescica urinaria è di 250-300 ml, ma può anche aumentare sino a 400 ml, data la sua possibilità di dilatazione; la pressione esercitata sulla mucosa interna dalla presenza di abbondante liquido e la tensione conseguente delle pareti mettono in moto il meccanismo muscolare che provvede all’espulsione dell’urina.

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